Non riesco a scrivere le parole “freddo”, “gelo”, “ghiaccio”, “neve” prive delle virgolette, tanto in questi giorni le sento ronzare ovunque, dalla radio, al supermercato, al bar e le sento pronunciare da me trenta volte al giorno. Almeno scrivendo, vorrei riuscire a non spaparanzarle sulla pagina così, come se niente fosse.
In questi giorni ‘non proprio miti’, c’è qualcosa che mi colpisce.

Ogni mattina percorro una strada di periferia che collega la mia città con le montagne; ha una sola corsia su cui sfrecciano tir e altri generi di bestioni più o meno carichi. E’ una strada pericolosa e più di un ciclista ci ha rimesso la pelle; non ha né corsia di emergenza né marciapiedi. Da un lato è costeggiata da un alto argine erboso, dall’altro da una sfilza di vecchie case che un tempo avevano i piccoli giardini dove ora sfrecciano camion e automobili.

Destino vuole che lungo questa striscia di asfalto si trovi una fermata del pullman che collega i sobborghi alla città. Ogni mattina intorno alle sette e mezza c’è una ragazza che aspetta alla fermata. I lunghissimi capelli castani le incorniciano il viso affilato lievemente cavallino e scendono poi fino alla vita; ha un corpo piccolo e magro avvolto a secondo della stagione da giacconi o da magliette. Quando piove ha un bell’ombrello rosso. Ha lo zaino e spesso una cartella di plastica sotto il braccio e ne deduco che vada a Liceo artistico e che lì custodisca le prove dei suoi lavori pomeridiani. Con la mia automobile le passo vicino e ogni volta l’istinto è quello di fermarmi e darle un passaggio ma se lo facessi probabilmente il mostro che mi segue a tutta velocità mi entrerebbe dritto nel cofano spazzando via come niente fosse me, i miei figli e la mia vecchia automobile. Sognare una pensilina sotto la quale lei possa ripararsi quando piove e nevica è da ingenui o da svizzeri; ma immaginare uno spiazzo in modo che lei possa allontanare il gracile corpo dalla carreggiata è da esseri umani.

In queste mattine in cui il termometro segna meno cinque, salgo in macchina con la speranza di non incontrarla. Non posso immaginare di vederla sul ciglio della strada, mentre i tir con i pezzi di neve sul tetto le fanno volare all’aria i capelli e vibrare come un gong la sua cartella. E invece c’è. Avvolta in una giacca nera, senza cappello, con le braccia strette lungo il corpo e i capelli svolazzanti; mi ricorda l’Ofelia del preraffaellita di John Everett Millais, ma spero che non accada come alla modella di quel quadro, moglie del pittore Dante Gabriel Rossetti, che per posare nell’acqua prese talmente freddo che si rovinò per sempre la salute.

Mi sembra terribile che questo schifo di amministrazione cittadina non pensi a proteggere gli eroi che si servono del servizio pubblico… Immagino la fatica che in questi giorni le costa uscire dalla sua casa e darsi in pasto ai giganti e al gelo…ecco l’ho scritto, senza virgolette.

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