Uri Rosenthal e Guilio Terzi di Sant'Agata

“Non ci sono le condizioni per un intervento militare in Siria, serve una soluzione politica”. Parole del ministro degli esteri italiano Giulio Terzi di Sant’Agata, intervenuto in audizione davanti alle commissioni Esteri di Camera e Senato. “Abbiamo il dovere morale di difendere i diritti dei civili siriani”, ha detto ancora Terzi spiegando che la diplomazia sta lavorando per “sollecitare i russi verso posizioni più costruttive”. Anche il segretario generale della Nato, Anders Fogh Rasmussen, ha escluso una partecipazione dell’Alleanza a una eventuale missione di peacekeeping Onu-Lega Araba.

Terzi ha annunciato che il 24 febbraio sarà a Tunisi, nell’incontro internazionale convocato dal governo tunisino con l’appoggio della Turchia tra gli “Amici della Siria” per cercare di trovare un modo per uscire dall’impasse diplomatica e soprattutto dal massacro in corso ormai da undici mesi. In questa direzione, vanno anche gli incontri in corso tra alcuni ministri degli esteri europei e il loro omologo russo Sergei Lavrov, atteso domani a Vienna per un faccia a faccia con il ministro degli esteri francese Alain Juppe. Oggi Lavrov ha parlato con Uri Rosenthal, capo della diplomazia olandese: “Isolare Assad è un errore – ha detto il ministro russo – Alcuni nostri partner hanno già messo una croce sopra il governo siriano, ma noi riteniamo che solo il dialogo possa servire a mettere fine alle violenze, un dialogo che deve includere la Siria”. Lavrov ha anche commentato positivamente la notizia, data oggi dall’agenzia di stampa ufficiale siriana Sana, secondo cui il 26 febbraio i siriani saranno chiamati a votare per il referendum per la nuova costituzione.

Come si possa tenere un referendum mentre i carri armati assediano Homs e stringono la morsa attorno ad altre città è però tutto da verificare. Secondo Sana, la nuova costituzione – elaborata in quattro mesi da una commissione di esperti nominati da Assad – è stata presentata al presidente che ha decido la data del referendum. Assad avrebbe detto che con la nuova architettura istituzionale, la Siria “entrerà in una nuova era di cooperazione tra tutte le componenti della società siriana”. Non si conosce ancora il testo completo della costituzione, ma da quello che ha scritto la Sana, è stato eliminato l’articolo 8 del vecchio testo, quello che garantiva al Ba’ath lo status di partito unico. La formazione di nuovi partiti è adesso consentita, ma non su base religiosa, professionale o etnica, il che terrebbe fuori dalle eventuali elezioni i partiti islamisti e delle minoranze.

La nuova costituzione, peraltro, indica che il presidente non può rimanere in carica per più di due mandati settennali: Bashar Assad è salito al potere nel 2000 e questo gli darebbe altri due anni prima di passare la mano. Ammesso e non concesso che in questa situazione una riforma del genere sia credibile. Due settimane scarse per organizzare un referendum di questa portata sarebbero poche anche in condizioni normali, con il Paese scosso dalle proteste e da una repressione che ha causato migliaia di morti, il voto che mesi fa avrebbe potuto davvero bloccare la violenza e avviare una stagione di riforme concordate, rischia di essere solo una mossa propagandistica, peraltro fuori tempo massimo.

A Homs, intanto, i carri armati dell’esercito regolare continuano a colpire i quartieri di Bab Amr e Ishaat, dove il Consiglio rivoluzionario locale ha segnalato la presenza di numerosi cecchini sui tetti degli edifici. Alla periferia della città, da più di dieci giorni sotto assedio, è saltato in aria un tratto dell’oleodotto che porta a una delle due raffinerie siriane. Non è chiaro se sia stato un atto di sabotaggio da parte del Free Syria Army o di qualche altro gruppo armato oppure se si stato colpito per errore dall’artiglieria regolare. Le opposizioni segnalano che anche ad Hama – la città dove venti anni fa Assad padre sterminò almeno 30 mila persone in due mesi di assedio – sono entrati in azione i carri armati, che hanno preso posizione attorno al centro storico. Arresti sono stati segnalati anche nel quartiere di Barzeh, nella capitale Damasco.

Intanto, all’Onu, una nuova mozione di condanna sta per essere discussa nell’Assemblea generale, dove non esiste il potere di veto a cui Russia e Cina hanno fatto ricorso tre settimane fa per bloccare il testo di una risoluzione “sbilanciata” contro il governo siriano. Se il nuovo testo fosse approvato, non avrebbe valore esecutivo come le risoluzioni del Consiglio, ma sarebbe comunque un segnale politico per il regime. In attesa che qualcosa si muova tra i governi, anche in Italia la comunità siriana ha organizzato una manifestazione, appoggiata anche dalla Tavola per la Pace e dalla Cgil, per chiedere la fine del massacro: l’appuntamento è alle 12 a piazzale dei partigiani, in zona Ostiense, a Roma, domenica 19.

di Joseph Zarlingo

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