Jeremy Lin con la maglia dei Knicks

Quando si presentò ai cancelli del Madison Square Garden di New York, tempio della pallacanestro mondiale, gli uomini della sicurezza pensarono fosse un tifoso esaltato. Ci volle l’intervento di un dirigente per convincere la security che quel giovanotto smilzo e sul metro e ottanta, occhiali spessi pigiati su occhi a mandorla, era il playmaker titolare di una delle più blasonate squadre nella storia della Nba. Era il 4 febbraio scorso, la “settimana del dragone” stava per iniziare.

Poco dopo infatti Jeremy Lin, laurea ad Harvard, genitori cinesi ma nato in California a Palo Alto 24 anni fa, infilerà 38 punti contro sua maestà Kobe Bryant portando alla vittoria i New York Knicks. I derelitti New York Knicks. Almeno fino all’arrivo di Lin. Perché con lui al timone nel mese di febbraio, la squadra di coach D’Antoni ha cambiato marcia: 6 vittorie consecutive e follia al Madison. Per i tifosi, Jeremy è già Lin-possible. E dire che fino ad una settimana fa era un perfetto sconosciuto. Un panchinaro, per intenderci. Noto su internet per un video su “I cinque consigli utili per entrare ad Harvard“.

Snobbato dall’Nba dopo la laurea, l’anno passato ha scaldato la panchina dei Golden State Warriors (2 miseri punti a partita). Poi è finito nel purgatorio della D-League, la lega di sviluppo dove far crescere giocatori inesperti. Fino all’esplosione, fragorosa, a New York. Tra il 4 e il 12 febbraio, Lin si è caricato sulle spalle una squadra a pezzi. La ha trascinata a 5 vittorie filate smazzando assist col contagiri, segnando in ogni modo, mandando i tifosi in delirio. Per stile, ricorda Steve Nash. Non smette mai di palleggiare, gioca il pick and roll come pochi. Nash, però, è una leggenda. Il ventitreenne Lin, per ora, solo una scommessa.

La grande mela l’ha ingaggiato al minimo salariale. Doveva essere un tappabuchi, è diventato il salvatore della patria. Nella lega tutti si chiedono se sia un bluff o un fenomeno. Troppo presto per dirlo. L’unica cosa certa è che il basket Nba si fa sempre più meticcio. Basta pensare al tedescone Dirk Nowitzky, miglior giocatore delle ultime finali. Oppure il trio italiano BargnaniGallinariBelinelli. Anche Barack Obama si è accorto di loro. Nell’incontro con Monti, il presidente ha elogiato Gallinari e Belinelli: “L’italia può essere fiera di loro perché ne garantiscono il buon nome”. Si è dimenticato di Andrea Bargnani. Occhio a non scordarsi di Jeremy Lin. Avrebbe qualche miliardo di cinesi alle calcagna.

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