E’ la malinconia a farla da padrone in The Descendants, da noi Paradiso amaro. Già, sono discendenti meno spassosi dei protagonisti di Sideways, ma infinitamente più assertivi, anche se costa (molta) fatica. Tant’è, il regista americano di origini greche Alexander Payne offre a George Clooney un ruolo da tenersi stretto e ricordare, magari con un Oscar in mano, dopo il Golden Globe già in bacheca. Ed è questo un Clooney fuori dal seminato: il gigione, il guascone e il cialtrone George non abita più qui, e davvero non se ne sente la mancanza.

Toccano a lui gli abiti informali dell’avvocato Matt King, discendente di una delle più antiche famiglie hawaiiane. Con i cugini, è proprietario delle ultime terre vergini dell’arcipelago, che però – diktat dell’antitrust – vanno messe in vendita: sul piatto c’è mezzo miliardo di dollari, ma Matt non è veniale. Non scialacqua, eppure potrebbe, e dà alle due figlie abbastanza per fare qualcosa, non così tanto perché possano non fare niente. Ha anche una moglie: bella, indipendente, ma in coma. E, scopriremo, ha qualche scheletro nell’armadio: Matt deve elaborare, lottare e provvedere alle due, difficili, figlie. Ce la farà?

A rispondere è la sua vita, a rispondere è Alexander Payne, anche co-sceneggiatore dal libro di Kaui Hart Hemmings, che gli tiene la camera addosso, nonostante per prendere la tangente ci fossero temi ultra-sensibili, quali testamento biologico e proprietà privata. Invece no, complice questo Clooney trattenuto, minimal e un cast indovinato e ben guidato, Payne riesce a carburare con fatica una riflessione multiprospettica su lutto e rinascita, perdita e “guadagno”, sparigliando l’anagrafe – meglio, le anagrafi – del romanzo di formazione (coming of age).

Queste Hawaii non sono da cartolina, ma da memento mori e testamento esistenziale, più che biologico: ambizioso, a tratti involuto – e i 115 minuti non aiutano – Paradiso amaro consegna un autore in crescita, che non diverte più come prima – Sideways – ma ha messo la testa al posto giusto, ovvero nel qui e ora delle nostre vite, che divertenti non sempre sono. Non che manchino gag e battute azzeccate, ma non conta: è vivere e morire alle Hawaii, nella speranza che in mezzo si cresca. Anche Matt è nell’età della crescita, ma già tocca con mano la polvere a cui ritornerà: non gli resta che imbarcarsi nella missione maturità. E lo stesso attende Payne, costi quel che costi. Perfino, un film non totalmente riuscito. E irrimediabilmente malinconico.

Per sapere che mi ha detto di The Descendants Alexander Payne: www.rollingstonemagazine.it/cultura/notizie/alexander-payne-ecco-il-mio-george-clooney-da-oscar/48255

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