“Non si può impedire a un cittadino di non iscriversi a un partito. Ma diventa allarmante quando in un territorio si registra un’affluenza che proviene tutta da uno stesso comune-bacino”. Lucia Musti, procuratore aggiunto di Modena commenta così il caso dei tesseramenti anomali che sta investendo il Popolo della libertà dell’Emilia Romagna. “Un esempio: se a Palermo arrivano 200 tessere da un quartiere a rischio e se tutti gli iscritti sono nullatenenti o disoccupati, è facile pensare che la mafia abbia offerto o promesso quei servizi che spesso lo Stato nega in cambio del voto”.

In un’intervista rilasciata oggi sulla stampa locale, il magistrato della città emiliana mette in guardia rispetto ai rischi d’infiltrazioni mafiose legati ai tesseramenti sospetti denunciati nelle ultime settimane da esponenti dello stesso movimento berlusconiano. “Si tratta di uno scambio che ha vari livelli. Si va dall’offerta del pane alla sistemazione futura. Anche al Nord può diventare un problema, abbiamo visto che tutto il settentrione è oggetto di penetrazione mafiosa. Sicuramente anche qui il tesseramento può essere un veicolo di infiltrazione. La volontà di garantirsi amici nelle amministrazioni per ottenere favori utili all’organizzazione è un aspetto che emerge in tutto il Paese, non solo al Sud”.

La prima a sollevare la questione, in vista dell’imminente congresso provinciale del Pdl di Modena, era stata proprio la deputata Isabella Bertolini, esponente importante dell’Emilia a Montecitorio e avversaria all’interno del partito del senatore Carlo Giovanardi. “Leggo cognomi come Zagaria che mi auguro non siano parenti dei noti camorristi del clan dei Casalesi. Non voglio passare per razzista né ho strumenti per sapere chi sono questi neo-iscritti, ma i sospetti restano. Il mio timore è che qualcuno possa aver aperto loro la porta, per questo ho informato il segretarioAngelino Alfano e sono in attesa di una risposta”.

Immediata era stata la replica di Giovanardi: “Indegno criminalizzare chi è nato in alcune province del Meridione”. Sulla stessa linea la risposta di un altro alto papavero del berlusconismo emiliano romagnolo, Filippo Berselli. “Sia Renzi che Bertolini sanno di non avere speranze ai congressi provinciali, per questo ora cercano giustificazioni. Ma se hanno elementi concreti facciano delle denunce direttamente alla magistratura”, aveva detto il coordinatore regionale a ilfattoquotidiano.it riferendosi anche al caso di Gioenzo Renzi. Quest’ultimo, ex candidato del Pdl alle elezioni comunali di Rimini aveva denunciato un aumento esponenziale delle tessere del suo partito in vista del congresso in provincia.

Il procuratore Musti è avvezza alla questione delle falsificazioni per favorire i partiti. Alla fine del 2001, proprio dopo le elezioni politiche di maggio che portarono al trionfo di Silvio Berlusconi, quando lavorava a Bologna, il magistrato scoperchiò un sistema di “firme patacca” che faceva risultare tra i sostenitori di un candidato perfino i morti. Il sistema riguardò uomini del centrodestra bolognese. In otto furono rinviati a giudizio nel 2005, ma l’inchiesta andò a finire nel nulla per la successiva e contestuale depenalizzazione del reato.

Certo, da qui a parlare di infiltrazioni mafiose, fa capire il magistrato, passa tanta strada e, se sui contatti cosche-imprenditoria si ha certezza, su quelli tra clan e politica in Emilia Romagna, Musti è cauta: “Risultati investigativi in questo senso al momento non ce ne sono, ma il problema non va sottovalutato”.

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