Dopo il tentativo abortito dello scorso anno, finalmente il Comitato permanente per la produzione biologica (SCOF) ha approvato le nuove norme dell’UE per il “vino biologico”. Le norme saranno pubblicate prossimamente nella Gazzetta Ufficiale. Secondo il nuovo regolamento, applicabile a partire dalla vendemmia 2012 (ma valevole anche per annate precedenti), i viticoltori biologici potranno usare il termine “vino biologico” in etichetta, oltre al logo biologico dell’UE e al numero di codice del competente organismo di certificazione. Finora la certificazione biologica era prevista soltanto per le uve e attualmente la sola dicitura consentita è “vino ottenuto da uve biologiche”. La norma approvata introduce una definizione tecnica di “vino biologico”, completando la normativa che da oggi riguarderà tutti i prodotti agricoli, seguendo i principi del regolamento CE relativo alla produzione biologica. Ci si allinea agli altri paesi produttori di vino (USA, Cile, Australia, Sudafrica) che hanno già stabilito norme per i vini biologici.

In pratica il nuovo regolamento stabilisce un sottoinsieme di pratiche enologiche e di sostanze autorizzate per i vini biologici. Ad esempio non sono consentiti l’acido sorbico e la desolforazione, inoltre il tenore dei solfiti nel vino biologico deve essere inferiore a quello del vino convenzionale. I solfiti erano stati uno dei motivi per cui ancora non c’era stato accordo degli Stati membri della UE: il livello massimo di solfito per il vino rosso sarà di 100 mg per litro (150 mg/l per il vino convenzionale) e per il vino bianco/rosé di 150mg/l (200 mg/l per il vino convenzionale), con un differenziale di 30mg/l quando il tenore di zucchero residuo è superiore a 2 g/l.

“Come tutti i compromessi politici,” ha dichiarato Cristina Micheloni del comitato scientifico AIAB, l’Associazione Italiana per l’Agricoltura Biologica “il risultato non farà felice nessuno, ma tutti saremo un po’ meno scontenti”.

“È un passo in avanti” commenta il professor Mario Fregoni, fra i più noti esperti di viticoltura al mondo “resta la preoccupazione di far osservare le regole, dato che di solito i controlli non sono sufficienti. Altrimenti si rischia di prendere in giro il consumatore con l’idea che qualcosa sia più naturale o più salutare. Il miglior controllo sarebbe quello analitico, dato che oggi ci sono diversi laboratori attrezzati: se facendo delle analisi trovo molecole diverse da quelle ammesse, è evidente che l’inosservanza è del produttore. Per me il vino in genere, biologico o no, dovrebbe avere un etichetta dove si dichiarano tutte le sostanze non strettamenti pertinenti all’uva e alla sua trasformazione, e dunque si dichirano gli additivi ammessi nella UE. È comunque paradossale che sia proprio l’agricoltura biologica (oltre a quella biodinamica) a non aver impedito l’uso di una sostanza tossica come il rame nel terreno. Il rame è un inquinante. Non tanto tossico per l’uomo in quanto durante la fermentazione precipita, quindi non è mai sopra i livelli consentiti. Ma è tossico per l’ambiente: è un inquinante del terreno, specie nei paesi del Nord Europa che hanno terreni acidi dove è pericolosissimo perché viene assorbito dalla pianta. Da noi invece i terreni acidi sono al più il 1-2% (come in Francia Spagna o Portogallo), noi abbiamo terreni calcarei e alcalini o ricchi di sodio, in cui il rame viene praticamente reso inattivo e non assorbibile dalla pianta. Il rame però è tossico anche verso i batteri e i funghi e tutti gli esseri viventi che popolano il terreno e che sono intossicati. Consideri che non si è mai usato il rame in agricoltura fino alla fine dell’Ottocento, quando abbiamo “importato” dall’America oidio e peronospora, oltre che la fillossera”.

Il vino biologico non sarà dunque soltanto una questione di solfiti.

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