Meno docenti, meno corsi di laurea ad accesso libero e meno studenti immatricolati. È questo il quadro dell’Università degli studi di Parma all’inizio del 2012, primo effetto tangibile della riforma Gelmini e in particolare del decreto ministeriale 17 del 2010 che fissa precisi parametri e requisiti per l’attivazione dei corsi di studi negli atenei italiani. Una razionalizzazione che all’Università di Parma ha portato, per l’anno accademico 2011/2012, una pioggia di numeri programmati in diverse facoltà e, di conseguenza, meno immatricolazioni rispetto agli anni precedenti.

Secondo i dati diffusi dal rettore Gino Ferretti, al 31 gennaio il totale delle immatricolazioni è di 6.510 studenti, di cui 5.108 ai corsi di laurea triennale e magistrale a ciclo unico e 1.402 ai corsi di laurea magistrale. Rispetto all’anno precedente sono circa 1.200 studenti in meno ma, spiega il rettore, “il risultato è soddisfacente e abbiamo raggiunto gli obiettivi che ci eravamo posti, visto che come Università abbiamo dovuto introdurre molti numeri programmati per rientrare nei parametri richiesti dal ministero”. Una decisione dovuta, dunque, che proseguirà anche nei prossimi anni, anche se, visto il risultato positivo a inizio 2012, “la soglia delle matricole si potrà alzare, magari rimettendo qualche accesso libero in alcuni corsi, in vista della programmazione triennale che si deve presentare al ministero”.

Prima degli studenti erano stati i docenti a essere ridotti: da 1100 a 930, con la previsione di un’ulteriore diminuzione a fine accademico, in attesa che si chiarisca la posizione dei ricercatori a tempo determinato e vengano integrati i professori di prima e seconda fascia, che ora non riescono a garantire la funzionalità del sistema di organico dell’Ateneo. Gli stessi parametri e criteri relativi a didattica e ricerca che hanno fatto ottenere all’Ateneo parmigiano circa 17 milioni di euro di risorse dal ministero, promuovendolo a pieno titolo, dunque, sono anche quelli che determinano la sua razionalizzazione in termini di popolazione universitaria.

Di certo, determinante nel calo delle iscrizioni di questo anno accademico, è stata l’introduzione dei test di accesso ai primi tre anni dei percorsi di studio. Su 44 corsi di laurea triennale e magistrale a ciclo unico, più della metà infatti non è ad accesso libero. Il numero programmato è stato introdotto in 16 corsi a laurea triennale (14 triennali e 2 magistrali a ciclo unico), a cui si aggiungono quelli con iscrizione programmata a livello ministeriale, come Medicina e Veterinaria, che a Parma sono in tutto 13 (10 triennali e 3 magistrali a ciclo unico). La novità dell’accesso sbarrato avrebbe provocato anche cali inaspettati degli studenti: dati alla mano, in facoltà come Economia e Lettere, che storicamente registravano un boom di iscrizioni, la prova di ingresso ha probabilmente scoraggiato le aspiranti matricole, al punto che in corsi come Economia aziendale o Economia e marketing non è stata raggiunta la soglia massima di studenti fissata a 230. Stesso effetto a Civiltà e lingue straniere o Scienze dell’educazione della facoltà di Lettere, che proprio a causa del test hanno avuto meno iscrizioni rispetto al numero programmato.

Posti vacanti anche nei corsi di Medicina e chirurgia, ma per motivi diversi. La facoltà, in cui ogni anno tentano l’ingresso oltre 2000 persone per un totale di 816 accessi, riserva infatti, come le altre dell’Ateneo, alcuni posti per studenti extracomunitari, che però quest’anno non sono riusciti a superare il test o non hanno presentato domanda. “Abbiamo chiesto di potere integrare con studenti comunitari quei posti vacanti – chiarisce il preside Loris Borghi – ma il ministero non l’ha consentito”.

Importanti cambiamenti dovuti probabilmente alla crisi economica degli ultimi anni, si sono registrati anche nella provenienza degli studenti, che scelgono sempre più facoltà vicine al proprio territorio d’origine: gli iscritti provenienti dall’Emilia Romagna sono passati dal 54,7 per cento dell’anno precedente al 58,2 per cento; quelli da Parma, che nel 2010/2011 erano il 29,2 per cento, quest’anno sono il 35,4 per cento.

di Silvia Bia

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