Il momento più alto, che lambisce la preziosa vetrata che fa da soffitto all’aula di Montecitorio, è quando il deputato Vincenzo D’Anna, a nome degli ex Responsabili oggi Popolo e Territorio, si alza in piedi e annuncia l’astensione del suo gruppo. In ballo c’è la fiducia al decreto svuotarcarceri ma D’Anna si libra nel cielo della Politica, con la maiuscola, per accusare il governo Monti di “criptosocialismo” e di volere “un’economia pianificata” di sovietica memoria. Il Professore diventa comunista nel giorno in cui, ironia della sorte, riceve la doppia benedizione di Obama e della copertina del Time, destinata a pesare lungamente sull’evoluzione del paesaggio politico italiano.

Dice D’Anna: “L’altra sera, leggendo La via della schiavitù, di Friedrich von Hayek, mi sono ritrovato in alcune cose che il grande economista liberale ha detto e che vorrei affidare a questo governo, che si dice tecnico ma che deve diventare politico: questo governo ci deve dire se vuol continuare lungo la strada del criptosocialismo, dell’economia statalizzata, dello Stato imprenditore o vuole trasformarsi in un moderno Stato liberale. Bisogna decidersi, che cosa vogliamo essere?”.

La Lega di Bossi e Maroni, invece, sceglie la strada opposta. Annuncia il no alla fiducia sullo svuotacarceri e include Monti tra gli esponenti di quel “fascismo bianco e finanziario” denunciato da Giulio Tremonti nel suo ultimo libro. A parlare, per il Carroccio, è Luca Paolini: “Contro il rischio del fascismo bianco, oggi si erge solo lo spadone di Alberto da Giussano, della Lega Nord, che resiste con il suo nucleo di valorosi opliti, che in questo triangolo del Parlamento continuano a portare la voce del popolo, e che non riuscirete a spegnere nonostante l’evidente interesse di tutti a zittirci e a metterci la mordacchia”.

In attesa di capire se Monti si dimostrerà un criptosocialista o un fascista bianco, tutto tranne che un liberale, il clima da inciucione tiene. Con qualche stanchezza, ma tiene. Dallo svuotacarceri alla discussione sulla legge elettorale. Sul decreto del guardasigilli Paola Severino, che già tanti sconquassi ha provocato al Senato, il governo Monti ha un’emorragia di voti. Appena 420 sì. Pochi rispetto alla prima fiducia di 556 voti alla Camera, seguita dai 495 sul “Salva-Italia” e dai 469 sul milleproroghe.

Il Pd è il partito di maggioranza che tiene di più. Quasi tutti in aula e braccia pronte a dire sì e a donare altro sangue al governo tecnico. Aria diversa nel Pdl: assenti, astenuti, contrari e una dichiarazione di voto molto critica nei confronti della Severino, al punto da provocare la dissociazione dell’ex ministro Claudio Scajola. Paradossalmente, anche i radicali si astengono, perché vorrebbero l’amnistia. Contro, ufficialmente, l’opposizione degli opliti della Lega e l’Italia dei valori. Federico Palomba dell’Idv parla di “logica perdonista” che prenota una “maxi-amnistia, un colossale lavacro dei crimini” e lo stesso Antonio Di Pietro individua nel provvedimento che concede i domiciliari per gli ultimi 18 mesi di pena e anche per chi viene arrestato in flagranza di reati di competenza del giudice monocratico “una resa dello Stato ai criminali”.

Nel pomeriggio, Montecitorio si svuota. Pochissimi i deputati presenti all’informativa del governo sull’emergenza neve e i fari dell’inciucione illuminano di nuovo il dibattito sulla legge elettorale, cominciato l’altro giorno con lo storico incontro tra le delegazioni di Pd e Pdl. A tenere banco è di nuova la coppia Cicchitto & Franceschini. I capigruppo di Pdl e Pd alla Camera si ritrovano insieme a un convegno. L’esponente democrat rilancia la proposta di una conferenza congiunta dei capigruppo che assomiglia tanto a una sorta di Bicamerale travestita. Ma nel Pdl, la direttiva di Berlusconi, impartita ieri in un vertice a Palazzo Grazioli, è di prendere tempo almeno fino alle amministrative. Da un lato la Lega, dall’altro l’Udc adesso nell’ex partito dell’amore si è messa in moto la macchina per tamponare il probabile tonfo elettorale. Sul tavolo, la proposta più getto-nata è sempre il sistema ibrido ispanico-teutonico con elementi maggioritari e proporzionali. Con annesso nodo sbarramento.

Ieri al Fatto, Di Pietro ha rivelato di temere una soglia del 10 per cento per tenere fuori Lega, Idv e Sel, e favorire così la nuova melassa democristiana della Grande Coalizione moderata tra Pd, Pdl e Terzo Polo (che, tra l’altro, non vogliono le preferenze). Ma in un incontro con Sel, il Pd ha smentito categoricamente questa ipotesi. Nel Pdl, però, continua a circolare l’ipotesi di un 8 per cento, mentre dalle parti di Bersani lo sbarramento previsto è del 4. In ogni caso il sindaco di Napoli Luigi de Magistris ha fatto sapere che “il 10 per cento non ci spaventa”. Anche perché una soglia del genere farebbe nascere una lista civica nazionale di Idv, Sel, Rifondazione e nuovi sindaci, altra proposta di Di Pietro. Sostiene De Magistris: “L’alleanza con partiti, movimenti, liste civiche, rete dei sindaci è interessante e sono convinto che anche all’interno del Pd si aprirà una riflessione interessante. Questa sarà la coalizione che vincerà”.

da Il Fatto Quotidiano del 10 febbraio 2012

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