Sarà un venerdì di preghiera tristissimo per la città di Homs, quello di domani. Ammesso che le preghiere si possano svolgere, dopo quasi una settimana di pesantissimi cannoneggiamenti da parte delle truppe dell’esercito regolare siriano. Anche oggi, sesto giorno di offensiva contro la città, la terza per dimensione in Siria, il bilancio è drammatico: almeno 127 morti, secondo i comitati locali anti-regime, di cui oltre 100 nella città simbolo dell’opposizione a Bashar Assad. I feriti, secondo fonti locali citati dall’emittente panaraba Al Jazeera, sarebbero almeno 570, alcuni in gravi condizioni.

Ancora una volta la zona più colpita è stata quella di Bab Amr, dove secondo gli attivisti, almeno 50 persone ieri sono state uccise dai colpi di mortaio, dai razzi e dalle cannonate dei tank siriani. I soldati della 90esima brigata di fanteria, comandata da un parente del presidente Assad, il generale Zuhair al-Assad, sono entrati in città protetti dai veicoli blindati di fabbricazione russa. I miliziani del Free Syria Army, come si vede su alcuni video postati su YouTube, riescono di tanto in tanto a isolarne uno nei vicoli cittadini, e a metterlo fuori combattimento. Ma la guerriglia urbana non riesce ad avere ragione della superiore potenza di fuoco dell’esercito regolare. Secondo alcune notizie, difficili da confermare, rimbalzate su Twitter, sarebbero entrati in azione anche degli elicotteri da combattimento. I racconti che arrivano dalla città assediata parlano di abitanti che cercano riparo nei piani bassi degli edifici, più lontano dalle cannonate e dai colpi di mortaio.

Nel resto del Paese, la situazione è relativamente meno drammatica, ma vicino Idlib, non lontano dal confine con la Turchia, ci sono stati scontri tra esercito regolare e gruppi di disertori. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani – un’organizzazione di opposizione basata in Gran Bretagna – reparti dell’esercito siriano stanno affluendo nella provincia orientale di Deir al-Zor.

Sul piano internazionale, ieri notte, da New York, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon ha espresso la propria condanna per la “brutalità sconvolgente” della repressione in Siria e ha anche annunciato che la Lega Araba avrebbe intenzione di proporre un nuovo piano di mediazione, assieme alle Nazioni Unite. Ki-Moon non ha fornito dettagli su questa nuova iniziativa limitandosi a dire che sarà resa pubblica “nei prossimi giorni”. Sempre dall’Onu, Navi Pillay, Commissario Onu per i diritti umani, ha condannato duramente “gli attacchi indiscriminati contro le aree residenziali della città”, con “l’impiego di mitragliatrici pesanti e artiglieria”.

Lontano dal Palazzo di Vetro, a Pechino, invece, per la prima volta esponenti del governo cinese hanno incontrato una delegazione dell’opposizione siriana. Hassan Mana, vice coordinatore generale del Coordinamento nazionale siriano per il cambiamento democratico ha incontrato il viceministro degli esteri cinese Zhai Jun. La conferenza stampa finale, a cui ha partecipato il portavoce del ministero degli esteri Liu Weimin, non ha fornito grandi novità: “La Cina rimane impegnata a incoraggiare dialoghi e contatti per migliorare la situazione”, ha detto Weimin, sottolineando che però Pechino sta valutando di mandare un inviato speciale in Siria per discutere con il governo di Damasco. Il segnale, in ogni caso, è rilevante, visto che meno di una settimana fa, sabato scorso, Pechino ha usato il suo potere di veto, assieme a Mosca, per bloccare nel Consiglio di sicurezza dell’Onu la risoluzione di condanna chiesta dalla Lega araba e dai diplomatici europei. A Mosca, invece, si è rivolta direttamente Amnesty International, che in un comunicato emanato dal segretariato internazionale, ha chiesto al ministro degli esteri russo Sergei Lavrov di condannare chiaramente le stragi di civili che stanno avvenendo a Homs. “La situazione a Homs è critica e si sta trasformando in una vera crisi umanitaria – ha scritto Salil Shetty, segretario generale dell’organizzazione – La Russia e gli altri paesi che hanno influenza sulla Siria devono usare qualsiasi mezzo a disposizione per fermare l’esercito siriano a Homs e assicurarsi che armi pesanti non vengano usate contro i civili delle aree residenziali”.

All’elenco dei Paesi che stanno troncando le relazioni diplomatiche con la Siria, intanto, si aggiunge anche la Libia: il ministero degli esteri di Tripoli, infatti, ha dato 72 ore di tempo all’ambasciatore siriano per lasciare il Paese. E a dare la misura del caos, arriva anche la notizia dell’agenzia di stampa siriana Sana secondo cui alcuni “terroristi” avrebbero trafugato reperti archeologici da Palmira, l’antica città classica le cui rovine sono proprio nella martoriata provincia di Homs.

di Joseph Zarlingo

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