Ieri sono entrato in libreria. Mi è caduto l’occhio su un romanzo direi voluminoso di un autore figlio di una celebre ex figura apicale di un grande giornale pubblicata da una grande casa editrice. Non è il primo di questo autore e non ho mai letto nulla di lui: non so se sia un nuovo Dostoevskij oppure no. Ciò che so per certo è che a pubblicare un romanzone per una grande casa editrice lui che è figlio di ci è arrivato. Chissà se pure lui ha dovuto sorbirsi la trafila dei manoscritti inviati e rifiutati, delle richieste di partecipazione alle spese (compra X copie del libro e noi te lo pubblichiamo), di banditismi vari di cui chiunque abbia inviato manoscritti e non sia “figlio di una ex figura apicale etc etc” ha di certo fatto conoscenza.

Spero di si perché vorrebbe dire che è riuscito ad arrivare dove voleva con le sue sole forze: ma non riesco a reprimere il sospetto che non sia stato così. Perché come perfettamente sintetizzato da Daniele Martini sul Fatto di ieri c’è un nepotismo diretto o indiretto che è tipico di una classe sociale “alta” la quale riconosce la propria pratica nepotistica come un diritto; e censura, per contro, i desideri di chi di quella classe non fa parte e vorrebbe magari garantire ai propri figli un futuro migliore del proprio. Li censura parlando di ‘bamboccioni’, di ‘sfigati che si laureano a 28 anni’, di precari che sono ‘la parte peggiore dell’Italia’ (Brunetta che c’era prima ma il linguaggio è lo stesso); e magari si puliscono la coscienza filosofeggiando di flessibilità buona e cattiva (Fornero) facendo finta di ignorare che ad un banca a cui si chiede un mutuo se tu sia un flessibile disciplinato oppure rigido non gliene può fregare di meno.

E’ lo stesso atteggiamento che ispira manovre che per salvare ‘la società’ che uccidono il sociale, che elegge ex a brupto gli ‘imprenditori’ come la parte buona del paese, quella che lo può salvare facendo finta di ignorare che molti appartenenti a quella categoria hanno lo stesso coraggio di Don Abbondio davanti ai bravi nei momenti di crisi, che sono preoccupati solo di mantenere il proprio standard di vita e che molti dei quali sono orgogliosi portacolori di quella pletora di evasori fiscali che ha applaudito B. fino a spellarsi le mani. E che magari quando assumono una donna le fanno firmare una cambiale in bianco: se resti incinta amici come prima. Non sono imprenditori ma ‘prenditori’ gattopardeschi di presente e futuro, per sè e i propri congiunti. E’ un atteggiamento che non è di destra: è solo sinistro.

Articolo Precedente

Gelo e silenzio. Diario dalla torre-faro

next
Articolo Successivo

Un’inaugurazione col botto: precari 1 – Cesed 0

next