Non sono giorni felici per i partiti italiani.

Una ricerca di Mannheimer ripresa oggi da Fabio Chiusi su L’Espresso dice che solo l’8% degli italiani ha fiducia nei partiti e solo il 15% nel Parlamento. Il Pd è in imbarazzo per le evoluzioni del caso Lusi, che pare possa interessare la Guardia di Finanza.

Nel Pdl sono settimane di congressi e giornate in cui assistiamo, per l’ennesima volta, a singolari meccanismi di tesseramento: a Savona risultano anche simpatizzanti del Partito Democratico iscritti a loro insaputa. A Bari la denuncia di irregolarità è stata effettuata addirittura dalla minoranza guidata dalla coppia Quagliarello-Mantovano contro la maggioranza di area Fitto nel bel mezzo del congresso cittadino, come segnalato da Go-Bari. E non è una denuncia proprio banale: 120 iscritti al Pdl risultano residenti nello stesso luogo che, alla prova dei fatti, è un sottoscala di uno studio di consulenza dove certamente non abita tutta quella gente.

Le vicende di Lusi e quelle dei tesseramenti illegali del Pdl hanno per me un uguale tasso di gravità e una matrice comune. Sono la prova che i partiti non sono organizzazioni trasparenti e che le regole possono essere violate senza alcun tipo di punizione, prima di tutto politica: a Bari, ad esempio, il congresso è stato regolarmente celebrato senza particolari contestazioni. È come se due squadre di calcio si sfidassero, una delle due sapesse che un giocatore ha fatto uso di doping e nonostante questo disputasse regolarmente la partita e accettasse serenamente l’eventuale sconfitta.

In Italia si discute molto di democrazia, c’è un larghissimo movimento d’opinione affinché cambi la legge elettorale, ma la democrazia interna ai partiti non è mai stato oggetto di discussione profonda. Eppure per me è il punto di partenza per ogni speranza di partecipazione popolare alla vita politica e le due storie fosche di questi giorni lo dimostrano.

I bilanci dei partiti sono opachi; la rappresentanza non è garantita dall’equivalenza “una testa un voto”, perché esistono pacchetti di tessere acquistati dai grandi elettori per poter pesare di più in sede congressuale. Entrambe le verità sono, in realtà, segreti di Pulcinella. L’espressione “signori delle tessere”, usata per parlare di quei potentissimi dirigenti e funzionari dei partiti che investono grandi somme di denaro per ‘far iscrivere’ cittadini al proprio partito, fa parte del senso comune ed è silenziosamente accettata, pur essendo la prova di un’evidente irregolarità.

Questo restituisce il risultato che tutti noi conosciamo: il distacco, la disaffezione, la disillusione dei cittadini nei confronti dei partiti è al massimo. L’Italia, nazione dove si è sempre andato a votare molto e dove il tasso di affluenza alle politiche è arrivato fino all’ottanta percento, conta oggi un tasso di astensione potenziale del 40-45%, come rilevato da settimane da Nando Pagnoncelli.

Ma per i partiti questa deriva è davvero un problema? Se la fiducia fosse del 90% cosa cambierebbe? I partiti continuano e continueranno a essere l’unico luogo preposto alla nomina dei parlamentari (con questa legge elettorale come non mai), dunque il numero di iscritti non è poi così importante. Anzi, meno gente c’è in giro, meglio è: i signori delle tessere si comprano la ricandidatura per sè e per i propri accoliti, appaltano i meccanismi decisionali, nominano e (non) controllano i bilanci, distraggono i fondi.

E se la gente smettesse di andare a votare cosa cambierebbe? Forse solo la quantità netta di rimborsi elettorali (ogni voto porta cinque euro nelle casse del partito), ma se l’affluenza fosse, per assurdo, del 10%, il risultato elettorale sarebbe ugualmente valido. Conterebbero le percentuali, le maggioranze, gli accordi e si riuscirebbe comunque a giungere al potere, contro tutto e contro tutti, italiani inclusi.

Chiedete a un italiano: “Hai una tessera di partito?“. Per molti è quasi un’offesa e chi ce l’ha è visto come una persona che è iscritta per motivi di interesse personale. Però questo atteggiamento è il presupposto grazie al quale possono accadere episodi come quello di Lusi o delle tessere nei sottoscala di Bari. Allo stesso tempo iscriversi a un partito appare un’impresa del tutto inutile, dato che la competizione contro i signori delle tessere è basata su regole non rispettate e su scorrettezze che oramai fanno parte dei meccanismi di funzionamento dei politici.

E se i partiti perseguissero volontariamente l’antipolitica?

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