Un parco studio nel centro di Roma. Due quadri, una scrivania, qualche libro. La barba di Umberto Croppi, un bianco sporco, come la neve che ha sepolto forse definitivamente l’esperienza politica del sindaco Gianni Alemanno. Croppi lo conosce da 30 anni: “E ancora gli voglio bene, ma la dissennata corsa di queste ore a farsi fotografare gli costerà cara. Gianni certamente non sarà rieletto e soprattutto, ogni istantanea di questa vicenda rimarrà nella storia. Perché ogni frammento, in un effetto domino, corrisponde a un’ulteriore gaffe”.

Esempi?
Alemanno con la pala in mano che sposta una pigna. Alemanno immortalato vicino ai sacchetti di sale da cucina. Alemanno mentre toglie neve da un marciapiede e la ributta in mezzo alla strada. Devastante. Inutile. Controproducente.

Quante responsabilità reali ha avuto nella disfatta?
Non molte. Roma non è attrezzata e molti altri, prima di lui, si erano trovati a mal partito con un fenomeno alieno alla città. Ha sbagliato altrove. Invece di reagire alle mancanze altrui nelle sedi competenti, è stato assalito da una furia iconoclasta. All’assalto, quando nessuno, almeno all’inizio, l’aveva accusato di nulla.

Perché?
È difficile dirlo. L’Alemanno attuale è il manifesto di un disagio psicologico. Quando sabato mattina l’ho visto sventolare quei fogli bianchi con le previsioni mi è venuto un brivido. Ho capito subito che si trattava di un’interpretazione sbagliata. Di dati equivocati.

Un fatto grave?
Da un laureato in Ingegneria ambientale, responsabile dell’unica metropoli d’Italia, ci si aspetterebbe una cognizione maggiore. Incorrere nell’errore ed esporlo all’Italia e al mondo è uno scivolone incomprensibile.

Ci sono altri responsabili?
Certo. Tre o quattro assessorati, forse la Protezione civile e i vigili del fuoco. Ma il problema è altrove. Perché Alemanno non ha chiesto spiegazioni ai suoi? Dove è finita la giunta di questa città?

Poteva essere fatto di più?
Sicuramente sì, tutti sapevamo da 15 giorni che avrebbe nevicato. Se da un lato offro a Gianni la mia solidarietà, dall’altro non posso non vedere che in questa situazione appare, a essere bene-voli, del tutto smarrito.

Perché?
Perché è preoccupato soltanto della gestione della propria immagine. Uno slalom tra twitter e le tv, come se la nevicata lo ponesse di fronte a un referendum sulla sua capacità di governo.

Da cosa nasce l’urgenza?
Dai sondaggi del recente passato. Quando esondò il Tevere e Gianni si presentò in stivali sul greto, ebbe il picco massimo di popolarità. Ha deciso di riproporre l’esperi-mento, cadendo nel ridicolo. Nella drammatica caricatura. Nella saga di se stesso. È vero che all’epoca delle piene si percepì la sua presenza, ma è altrettanto innegabile che il Comune istituì un’unità di crisi attiva 24 ore su 24.

Questa volta?
Nessuna traccia. Un’anarchia desolante. Una città in balia di se stessa. Dopo una buona intuizione, la chiusura delle scuole, Gianni è sprofondato nelle contraddizioni. Aveva un vantaggio, non c’era neanche bisogno che lo sventolasse. Lo ha depauperato giocando d’attacco e innescando un meccanismo in cui una volta compreso di aver sbagliato, ha deciso di rilanciare senza sosta.

Come è stato possibile?
È stato mal consigliato. La sovraesposizione di Gianni è grottesca. Nell’ultimo anno lo si è visto con il casco sui cantieri, in bicicletta a inaugurare le piste, troppo. Dovrebbe rendersi conto che l’attenzione eccessiva lo danneggia.

Nella ricostruzione del sindaco, le responsabilità sono sempre degli altri.
Come nei tennisti italiani descritti da Nanni Moretti, per i quali la colpa della sconfitta risiede sempre altrove o nella metafora del cacciatore, per cui l’obiettivo mancato è addebitabile al cattivo funzionamento della cartuccia.

Dal suo blog ha lanciato messaggi allarmistici
Il blog è un boomerang. Si presenta come il simulacro della modernità 2. 0 e poi, in un amen, ti fa riprecipitare nella preistoria delle pale. Se sabato mattina, invece di dare addosso alla Protezione civile, Gianni fosse apparso per dire: “Ce la stiamo mettendo tutta, dateci una mano”, la percezione collettiva sarebbe stata diversa.

Invece?
È parso dicesse: “Arrangiatevi”.

Lei lo conosce da sempre. È cambiato?
Non molto. Ha dedizione e ambizione, pregi e limiti. Il più grande? Chiude tutto all’interno di schemi rigidi. È molto ideologico.

La cacciò dalla giunta
Non covo alcuna revanche, ma in quell’istante, si è chiusa la sua esperienza politica. Invece di puntare alla qualità, ha pensato di cedere alle pressioni. Parentopoli e le assunzioni senza freni sono solo un riflesso di quel cedimento.

Ma lei gliel’ha detto?
Decine di volte. Cercava giustificazioni che erano soprattutto scuse da presentare a se stesso.

Litigaste anche sulla vicenda Colosseo-Della Valle?
Da assessore non sono mai stato contrario, ma estraneo alla vicenda. Mi sono mosso su binari paralleli. La camera di commercio mise a disposizione una cifra analoga a quella di Della Valle e io andai ad Abu Dhabi, riscontrando interesse per il restauro a cifre ben superiori a quelle poi erogate. Della Valle, onore al merito, si è preoccupato di reperire i fondi. Le modalità dai profili curiosi atte a trovare il denaro non mi riguardano. Comunque, anche in quell’occasione, Gianni sbagliò. Sul piano politico poteva fregiarsi dell’operazione, ma su quello delle procedura non c’entrava niente e avrebbe potuto, anzi avrebbe fatto meglio a stare zitto.

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