La storia della musica elettronica è una storia di invenzioni e avventure imprenditoriali, oltre che di immaginazione artistica. Forse non tutti sanno che il primo importante strumento musicale elettronico fu il telharmonium brevettato nel 1897 dall’avvocato, imprenditore e inventore americano Thaddeus Cahill. Alla base, c’era l’idea di trasmettere musica nelle case e in luoghi pubblici attraverso le linee telefoniche da ascoltare con apposite cornette collegate agli apparecchi telefonici. Cahill riuscì a trovare degli investitori che finanziassero la sua idea, costruì questo gigante che pesava 200 tonnellate, convinse la compagnia telefonica di New York a firmare un contratto per la fornitura di questo servizio, ma per una serie di problemi, in particolar modo quello delle interferenze con le linee telefoniche, l’impresa fallì nel 1908.

Fallimento a parte, da quel momento la musica incomincia a mutare la propria natura: l’urbanizzazione e lo sviluppo delle comunicazioni favoriscono questo cambiamento, la musica scopre inoltre sentieri socialmente favorevoli non abbandonandoli mai più. E personaggi come John Cage ed Erik Satie incidono profondamente sul nuovo modo di creare e di intendere la musica, favorendo ogni tipo di sperimentazione. Sperimentazioni in tale ambito che proseguono tuttora, naturalmente tra successi – favoriti dalla tecnologia – e fallimenti; ne è passato di tempo da quando vide la luce il  mastodontico telharmonium, e fa quasi sorridere assistere musicisti mentre creano la propria musica su un iPad.

Ma per capire a che punto si è arrivati abbiamo intervistato il maestro Andrea Baggio, che recentemente ha dato vita al progetto “My worst enemy is myself”, presentato presso il Centro per l’Arte contemporanea EX3 di Firenze lo scorso 28 gennaio. Una performance digitale con musica e video eseguiti e creati in diretta, dove l’astratto e il descrittivo si alternano a delineare il conflitto più antico, resistente e inutile, e tuttavia tipico della nostra specie: quello fra l’uomo e il proprio simile, tra l’uomo e il proprio ambiente, quando non, addirittura, tra l’individuo e se stesso.

Andrea Baggio dal 1987 si dedica alla musica elettronica e all’informatica, insegna pianoforte e tastiere presso la “Lizard” di Fiesole, la Scuola di Musica di Sesto Fiorentino e il Cmm di Pontassieve. Nei suoi esperimenti musicali utilizza i mezzi e gli strumenti elettronici che normalmente vengono adoperati per realizzare dj set, ma qui vengono sfruttati in una modalità leggermente diversa: il computer e i software diventano veri e propri strumenti musicali suonati in tempo reale, e l’azione del musicista non è più semplicemente combinatoria di elementi precostituiti, ma agisce direttamente sulla composizione della musica in diretta, e sulla modifica dei parametri del suono in tempo reale. Il musicista in questo modo ha la possibilità di intervenire sulla propria idea, accuratamente programmata, adattandola in diretta alle condizioni e agli stimoli del momento. La strumentazione comprende computer, un Launchpad (una piattaforma di recentissima proposizione sul mercato, che permette di pilotare in maniera molto libera i parametri di vari software), e una tastiera per suonare in diretta; alcuni interventi verranno anche suonati su programmi di live electronics presenti su iPhone. L’utilizzo di campionatori e sintetizzatori come produttori di suoni particolari o di effetti speciali nell’opera lirica è diventato il suo settore di intervento dal 1990, quando comincia ad applicare la sua esperienza di programmatore di suoni al settore classico. Oggi si occupa di ricreare strumenti musicali rari o effetti speciali che possano essere riprodotti non tramite un registratore, ma tramite una tastiera, cosa che rende la gestibilità dei suoni e la trasportabilità degli strumenti di gran lunga più affidabile e semplice.

Andrea Baggio, come nasce la sua passione per le sperimentazioni, i sintetizzatori e i campionatori?
Ho sempre avuto fin da piccolo una passione per le sonorità sintetiche, anche se la mia formazione musicale è stata totalmente improntata allo studio della musica classica. I suoni sintetici mi facevano risuonare qualche corda particolare, impazzivo all’idea che si potesse ricreare un suono reale tramite la sintesi. Questa credo sia stata la vera molla iniziale, l’idea di poter simulare i suoni reali. La passione per i sintetizzatori (e quella successiva per i campionatori) è nata intorno al 1986, quando acquistai i primi sintetizzatori midi che stavano uscendo in quel periodo. C’è da dire che all’epoca, non esistendo ancora Internet e non esistendo nemmeno un granché di letteratura esplicativa sull’argomento, l’unica cosa che poteva aiutarti era studiare i manuali dei sintetizzatori per poter capire come utilizzarli. Questa è stata la partenza, poi la grande scoperta del Midi e dei campionatori, e di come poterli utilizzare in maniera creativa, nel senso di poter anche immaginare come un suono potesse trasformarsi se campionato e suonato in un’estensione non sua. Il colpo finale poi me lo dette il film Home of the brave che riuscii a vedere non so per quale colpo di fortuna in un cinemino d’essai, quando mi resi conto che Laurie Anderson in uno dei brani non danzava su una musica, ma riusciva a creare musica partendo da una danza in cui toccava il proprio corpo usando sensori collegati a una tastiera: fui come fulminato sulla via di Damasco. Mi fu evidente che in questo campo c’era una libertà assolutamente infinita. Intanto continuavo a seguire il mio percorso classico e nel 1990 iniziai a lavorare come maestro collaboratore di palcoscenico al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, dove ancora oggi lavoro. Lì ebbi l’idea di poter utilizzare i campionatori come strumenti sostitutivi di alcuni effetti particolari che spesso vengono utilizzati per le opere liriche, intendo effetti di interni in cui si richiedano suoni realistici (come il colpo di cannone in Madama Butterfly o Manon Lescaut, o la macchina del vento in AlpenSymphonie di Strauss) oppure campane da chiesa, spesso richieste esplicitamente in partiture come Tosca o Parsifal e sostituite nella pratica comune con i più riduttivi suoni di campane tubolari. Ebbi la fortuna di poter proporre il lavoro al maestro Zubin Mehta nel 1991, che fu molto soddisfatto del risultato, così creai un settore di lavoro che mi ha portato a lavorare con tutti i più grandi direttori d’orchestra (Maazel, Mehta, Muti, Abbado, Ozawa) e in vari paesi del mondo; ancora adesso sfrutto i miei suoni nelle opere. La cosa meravigliosa di queste macchine è che ti permettono di lavorare con il suono come se fosse plastilina in mano a uno scultore. Puoi partire da una singola forma d’onda e arrivare dove vuoi, non c’è alcun limite alla fantasia.

Alla luce dei suoi studi e delle sue sperimentazioni, quale crede sia la naturale evoluzione della musica popolare? Come immagina possa essere la musica di massa del futuro?
Magnifica domanda, ma mi toglie il respiro… io la musica del futuro la immagino bellissima, piena di collaborazione e di condivisione. Dopo questo periodo di introversione, dato da un’implosione del mercato che ha fatto sì che non ci fosse una vera libertà di espressione se non quella concessa ‘gentilmente’ dalle major morenti, realtà come SoundCloud e Internet mi fanno sognare un mondo in cui ognuno sia libero di esprimersi influenzando gli altri. Il mio sogno sarebbe proprio questo, la musica condivisa come un bene comune, la condivisione di idee ed emozioni che non può portare altro che alla sollecitazione di altre idee, in un continuum di vibrazioni libere. Lo so che è una visione ingenua e utopistica, ma credo che la tecnologia (e la rete) in questo possano portare una vera democrazia anche nella creatività. Mi piacerebbe davvero.

Articolo Precedente

“Diritti…al cinema!”, si parla di carcere
La rassegna di Magistratura democratica

next
Articolo Successivo

Baglioni, la rotta della Costituzione

next