“Ho deciso di rassegnare le dimissioni mie e dell’interno governo, per calmare la tensione sociale e fare in modo che la stabilità sociale ed economica del paese non venga colpita”. Con queste parole, in una conferenza stampa nella capitale Bucarest, il primo ministro rumeno Emil Boc ha annunciato la fine del suo governo, dopo settimane di proteste nelle strade delle principali città del paese contro il piano di austerità e le misure di politica economica che l’esecutivo aveva varato per cercare di fare uscire la Romania da una difficile situazione economica.

Le dimissioni del governo erano nell’aria dopo che la settimana scorsa il partito di governo, il Pdl (nomen omen, anche se in questo caso vuol dire Partito democratico liberale), aveva perso la maggioranza nella camera alta del parlamento rumeno, dopo che due deputati si erano uniti alla coalizione di centrosinistra oggi ancora all’opposizione. Nelle settimane scorse migliaia di cittadini rumeni avevano sfidato le temperature polari per protestare contro le pesantissime misure di risparmio decise dal governo per garantire il prestito da 20 miliardi di euro chiesto al Fondo monetario internazionale per sostenere l’economia rumena. I tagli alla spesa e gli aumenti di tasse sono stati micidiali: 30 mila poliziotti licenziati per ridurre la spesa pubblica, e, nel 2010, l’iva passata dal 19 al 24 per centro, mentre gli stipendi dei dipendenti pubblici sono stati tagliati del 25 per cento. Secondo Boc, queste misure hanno riportato il paese alla crescita economica nel primo mese del 2011, e le previsioni del governo per il 2012 danno l’economia rumena tra le più dinamiche dell’Ue. Di avviso diverso, però, il Fmi che ha ridotto la previsione di crescita all’1,5 rispetto all’1,8-2,3 dell’anno scorso “a causa delle maggiori difficoltà economiche dell’area euro”.

A prescindere dai ragionamenti macroeconomici, però, sono le crescenti difficoltà microeconomiche, di tutti i giorni che hanno spinto i rumeni a scendere in piazza come non accadeva da molti anni. Il paese, considerato il secondo più povero dell’Ue dopo la Bulgaria, è subito in modo drammatico i contraccolpi della crisi finanziaria ed economica mondiale, sia per la riduzione delle attività industriali (quasi tutte orientate all’export) sia per il taglio delle rimesse delle centinaia di migliaia di cittadini rumeni che lavorano all’estero.

Le proteste sono iniziate il mese scorso, dopo le dimissioni del viceministro della salute Raed Arafat (rumeno di origine palestinese), che aveva criticato la linea del premier e per questo era stato forzato a lasciare l’esecutivo. Dall’iniziale sostegno al giovane viceministro, i cortei sono diventati molto rapidamente manifestazioni contro il governo guidato da Boc, che ha tenuto duro finché ha potuto prima di essere costretto alle dimissioni.

Secondo i sondaggi, il Pdl è ora dato a meno del 20 per cento, mentre la coalizione di centrosinistra Usl viaggia attorno al 50 per cento dei consensi. Le elezioni sono previste a novembre di quest’anno e quindi per il presidente conservatore Traian Basescu (alleato di Boc), sono due: un governo tecnico “all’italiana” per guidare il paese fino al voto oppure anticipare le elezioni, come è stato fatto in Spagna, e come chiede il leader dell’Usl, Victor Ponta, sicuro di poter vincere.

Nel suo discorso di dimissioni, Boc ha chiesto al parlamento di dare la fiducia a un nuovo governo, lasciando quindi intendere che la prima strada potrebbe essere quella scelta. A meno che la piazza, ovviamente, non faccia di nuovo abbastanza pressione da spingere Basescu a scegliere la via del voto anticipato.

di Joseph Zarlingo

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