Aveva lanciato un duro monito contro la classe dirigente italiana direttamente dal palco del Festival di Cannes. Parliamo di Elio Germano, trentenne, romano, curriculum vitae con la meglio gioventù del cinema italiano (Virzì, Vicari, Veronesi, Paolo Franchi) e una palma d’oro nel 2010 come miglior attore, a ex aequo con Javier Bardem, per La nostra vita di Daniele Luchetti.

Germano dixit: “Siccome il nostro governo in Italia ci rimprovera di parlare male del nostro paese dedico il mio premio all’Italia e agli italiani che hanno fatto di tutto per rendere il nostro paese migliore, nonostante la sua classe dirigente”.

Parole di fuoco che crearono scalpore in mezzo mondo del cinema e non solo. Da quel dì Germano, oramai, naviga tranquillo come attore di prima fascia nel cinema italiano. Risultato che gli permette di dedicarsi con piacere e vigore al teatro. In scena, domani sera e sabato 4 gennaio, ore 21, all’Arena del Sole di Bologna, il giovane attore porta la sua versione per un reading a due voci (Germano recita; Teho Teardo, il compositore preferito da Paolo Sorrentino, suona) di Viaggio al termine della notte, scritto nel 1932 da un autore controverso come Louis-Ferdinand Céline.

Ed è proprio negli anni trenta che Céline si prese, non proprio a sproposito, dell’antisemita e del nazista. Anche se il suo libro è rimasto popolare, letto e ammirato da milioni di estimatori che con Hitler, e compagnia, probabilmente hanno poco a che fare: “Definirlo antisemita è il solito desiderio di creare un etichetta contro qualcuno. Quello che facciamo a teatro è cercare di restituire un’interpretazione parlata e suonata ad uno testi più alti e densi di letteratura del novecento”, spega Germano alfattoquotidiano.it,  “un romanzo che travalica la narrativa e diventa un’esperienza filosofica. Certo è di un cinismo esasperato, ma ha un senso drammaturgicamente profondo fatto di leggerezza, suggerendo agli uomini che l’unica cosa da rincorrere è l’emozione. Facile quindi equivocarlo. E poi gli anni trenta rappresentano un’epoca storica che torna di “moda”, con questo desiderio contemporaneo di antipolitica, la perdita di valori come nei primi decenni del novecento, la voglia di velocità che sfocia nella violenza, forma di comunicazione che diventa esagitata”.

Cosa intende per antipolitica?

“E’ giusto puntualizzare, se no si equivoca. Per esempio non reputo “antipolitica” chi ha protestato contro Napolitano pochi giorni fa. Anzi, sono dei giovani che vogliono riappropriarsi della politica e purtroppo sono costretti a farlo in maniera anche violenta. Per antipolitica invece intendo quello che rappresentano le istituzioni stesse: la loro perdita di valore, la perdita del concetto di bene comune che lo stato e un politico o un dirigente pubblico dovrebbero rappresentare. Ogni volta che qualcuno, e sono tanti in Italia, entrano in politica per interessi personali, ecco, questo è per me un forte segnale di antipolitica”.

Tra pochi giorni porterà al festival di Berlino, Diaz (regia di Daniele Vicari, n.d.r.) sui fatti di Genova del 2001: cosa l’ha stimolata politicamente di questo film?

“Diaz non è un film di protesta. Poi è un film europeo, con 140 attori, recitato in tedesco, francese, inglese e italiano. Racconta in maniera fedele, secondo gli atti dei processi, quello che successe dieci anni fa durante le manifestazioni antiG8. E’ un film lucido e oggettivo che, a distanza di dieci anni dai fatti, rende il cinema protagonista nel raccontare la storia del nostro paese. Il cinema può essere un modo per guardare meglio al nostro passato ed è utile soprattutto per un ventenne che nel 2001 aveva solo dieci anni. Magari è l’unico mezzo con cui raccontargli in modo diretto questi avvenimenti drammatici e “medioevali”, per fare in modo che non si ripropongano più”.

Oggi, finito il governo Berlusconi e con un nuovo governo, rifarebbe l’appello fatto a Cannes sulla classe dirigente italiana?

“In quel momento sentii di dire qualcosa di vicino al mio lavoro. Un  ministro dell’epoca ci aveva attaccato pubblicamente come mondo del cinema italiano dicendo che parlavamo male del nostro paese. Così io puntualizzai soltanto che in Italia ci sono persone che lavorano con passione e per gli altri anche nel cinema, mentre spesso le istituzioni e le classi dirigenti non li agevolano e aiutano. A quello mi riferivo e in questo senso non è cambiato nulla, quindi lo rifarei anche adesso”.

Un artista come lei, così sensibile a ciò che accade nel nostro paese, come percepisce questo particolare momento storico di crisi economica?

“E’ un momento di profonda crisi di un sistema economico. Crisi che, peraltro, se ripensiamo alle proteste di Genova represse con violenza, è da più di dieci anni che si sta cercando di mettere all’attenzione del mondo intero. Parliamo di un sistema economico che ci sta portando ad andare contro al nostro pianeta e a noi stessi. In questo senso quello stesso sistema economico non va in crisi, si autoconserva attraverso le decisioni politiche di molti governi europei”.

Monti compreso, allora?

“Se si adottano misure di austerity in tutti i paesi europei vuol dire che si è reagito al liberismo con provvedimenti egualmente liberisti: liberalizzazioni e taglio della spesa sociale. Non si sta cambiando sistema economico. Cambiano solo, tragicamente, le persone. Ma è un meccanismo politico pericoloso. Se questi draconiani provvedimenti si convogliano in qualcosa di produttivo e positivo bene, ma quando l’ultima speranza muore sull’ennesima frustrazione magari nel mondo del lavoro, succede quello che dice Napolitano, e che questa volta condivido: la protesta si trasforma in violenza diffusa e si giunge ad una dittatura”.

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