Adesso sembra che nessuno conoscesse Luigi Lusi. A leggere le dichiarazioni pare che nessuno avesse a che fare con lui, che l’ex tesoriere fosse l’ennesima mela bacata, un solitario, una monade impazzita, che sia sopravvissuto come un marziano tra i suoi colleghi politici, e che l’unico responsabile di tutto sia il povero Francesco Rutelli, l’uomo che aveva favorito la sua ascesa quasi una era geologica fa. In realtà Lusi non era affatto isolato, non stava su Marte, era stimato e riverito da tutti i leader di tutte le correnti di tutto il Partito Democratico (compresa quella che viene dalla Quercia), era il padrone di casa del Pd (prima di tutto in senso catastale) era al centro di una complessa rete politico-amministrativa che merita di essere decrittata e intitolata al suo nome. Se aveva un rapporto con Rutelli, dopo la scissione era quello di averlo “tradito” per restare in un partito più solido e sicuro ( sia pure senza interrompere i contatti).

Il primo paradosso del sistema Lusi, dunque, é proprio immobiliare: Lusi , come amministratore, era il padrone della sede più bella del Pd, quella di via del Nazzareno, per cui il partito di Bersani pagava regolarmente l’affitto. Ed era anche il regista di un accordo retribuivo incredibile per cui parte dei dipendenti dell’Api rutelliana erano e sono ancora  (una dozzina) a tutti gli effetti inquadrati nell’organico del personale Pd. Il che, tradotto in una immagine più vivida significa questo: il partito morto (la Margherita) intascava un reddito dal partito vivo (il Pd), che a sua volta sosteneva l’attivitá di un apparato inesistente (l’Api). In virtù di questo miracoloso gioco di scatole cinesi, si era verificato questo paradosso che per un partito politico dovrebbe corrispondere ad un elettrochoc: durante le ultime amministrative, sotto lo stesso tetto, lavoravano funzionari di partiti che avevano simboli concorrenti e in competizione l’uno con l’altro. Di più: funzionari dell’Api ancora dipendenti del Pd lavoravano per conquistare voti ad un partito diverso da quello che gli pagava gli stipendi. Ovviamente le persone in questione non avevano nessuna colpa: ma questo complicato e barocco gioco di specchi, molto più simile alla struttura delle società fantasma che a quelle tradizionali e sane della politica, rende l’idea di che tipo di ramificazioni avesse il sistema Lusi. E le complesse gometrie di specchiatura non sono finite.

Il primo simbolo dell’Api era tutto incentrato proprio sulle api (intese come insetti), svolazzanti in un prato. Il secondo, varato solo sulle schede elettorali delle amministrative aveva bruscamente cambiato proporzioni e loghi. Il Prato era diventato un fiore, inclinato, incredibilmente simile alla Margherita. E in mancanza dell’originale il giochino era riuscito, se é vero che in Campania nel 2010 il partito aveva toccato il 3,5%. una operazione da manuale con un aiuto. La Margherita (cioè Lusi) proprietaria a tutti gli effetti del simbolo clonato, aveva rinunciato a tutelarsi (al contrario della fondazione di Ugo Sposetti che ha vigilato sul “copyright” della Quercia. Ma il fattore più grottesco, nel coro dei cascanuvolisti di ieri erano quelle dichiarazioni di incredulità sulla finanza allegra di Lusi. Come dimostrano le veementi contestazioni di Arturo Parisi, Luciano Neri (e lo stupore di Dario Franceschini sulle incredibili dichiarazioni di Lusi, che gli attribuiva un finanziamento mirabolante di quattro milioni di euro!) nessuno ha voluto esercitare nessun potere di controllo sul tesoriere e nemmeno accettare destinazioni socialmente utili dell’incredibile mole di capitali gestita da Lusi.

Anche qui, questa volontaria cessione di sovranitá ha una risposta (e quindi una spiegazione) di natura tecnico-contabile. Il regolamento interno, infatti, consentiva al senatore del Pd di non dover rendicontare le sue spese fino a 130 mila euro. Esattamente la soglia al di sotto di cui Lusi si é tenuto frazionando il totale della sua truffa in 90 pagamenti. La vera domanda a cui i magistrati devono rispondere adesso é: quei quattro milioni di euro del partito-zombie che secondo Lusi erano stati destinati ad “attivitá politica”, sono stati tutti accaparrati da lui, oppure distribuiti con parsimonia agli ex dirigenti della Margherita per le loro legittime attività politiche? Aver chiesto e ottenuto contributi da Lusi, infatti, non sarebbe un reato, ma sarebbe una spiegazione, insieme alla natura gelatinosa del suo sistema, dell’omesso controllo e della benevolenza sul suo operato. Il che spiegherebbe anche la malizia di quella frase sibillina consegnata dal senatore del Pd agli inquirenti: “Sono responsabile di tutto e per tutti”. E chi doveva intendere ha inteso.

Il Fatto Quotidiano, 2 Febbraio 2012

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