Nicolas Sarkozy e Francois Hollande

E’ la vera ossessione della campagna di queste presidenziali francesi: la Germania. Sì, il confronto tra la Francia in crisi (deindustrializzazione galoppante e con un tasso di disoccupati che sfiora ormai il 10 per cento) e il potente vicino, che al tracollo dell’economia reale resiste eccome e dove il numero dei disoccupati addirittura cala. Nei discorsi di Sarkozy, ormai, il riferimento alla Germania è costante, anche come scusa per procedere a riforme altrimenti osteggiate dai francesi (l’hanno fatto loro, dobbiamo farlo anche noi…). Per quanto riguarda il suo principale avversario, il socialista François Hollande, gli accenni alla Merkel sono molto più critici. Ma, comunque, sempre lì si va a parare. In un misto di ammirazione e complesso d’inferiorità nei confronti di un modello giudicato vincente.

I media francesi ormai ironizzano. Se cinque anni fa si riferivano al presidente neoeletto come Sarkozy l’américain (per la sua voglia di liberalizzazione, ma anche per quegli occhiali a specchio, indossati ai tempi, che facevano tanto poliziotto di Los Angeles), ora l’hanno ribattezzato Sarko le berlinois. Secondo voci sempre più insistenti, la Merkel avrebbe addirittura accettato di andare in Francia a sostenerlo direttamente, durante comizi elettorali. Quanto a lui, nel discorso tenuto in tv domenica scorsa, l’ammirazione nutrita per la Germania è arrivata a tale livello da elogiare perfino un uomo della sinistra come Gerard Schroeder, cancelliere fino al 2005, all’origine dell’Agenda 2010, fatta di flessibilità del lavoro e tagli allo Stato sociale: lacrime e sangue, di cui il Paese ha raccolto in seguito i frutti a livello di competitività dell’economia. “Un socialista – ha dichiarato ammirato (sorprendendo non pochi) Sarkozy -: un uomo di grande qualità”.

Per dovere di cronaca, la sterzata teutonica inferta dal Presidente non sta funzionando un granché: il divario fra lui e Hollande nei sondaggi si è ampliato ancora di più da domenica scorsa (al primo turno, secondo Bva, il 34 per cento dei voti andrebbe al candidato socialista e solo il 25 per cento al Presidente uscente e, al secondo, saremmo rispettivamente al 57 e 43 per cento). Ma quali sono i riferimenti ricorrenti di Sarkozy a Berlino? Innanzitutto, il confronto sull’industria. “La Germania è l’unico Paese d’Europa che, non soltanto ha conservato i suoi posti di lavoro nell’industria, ma li ha addirittura sviluppati. La Francia, invece, ha perso 500mila impieghi industriali negli ultimi dieci anni”. Uno degli strumenti che il Presidente vuole adottare per ridurre il costo del lavoro in Francia (praticamente allo stesso livello di quello tedesco, dopo essere stato sempre inferiore) è l’introduzione dell’Iva sociale: come dire, spostare una parte dei contributi sociali pagati dall’imprenditore sulla tassazione indiretta. Per far passare la pillola di una misura giudicata ingiusta dai sindacati e dalla sinistra, Sarkozy non perde occasione di ricordare che la Germania ha già adottato quel provvedimento: “Se ha funzionato da loro, perché non dovrebbe funzionare da noi?”, si è chiesto domenica sera di fronte a milioni di spettatori. Altro suo cavallo di battaglia: l’avversione nei confronti delle 35 ore settimanali, volute in Francia proprio dalla sinistra al potere più di dieci anni fa. E che in Germania, ricorda spesso Sarkozy, non esistono: l’orario è gestito ormai con estrema flessibilità, dopo la cura Schroeder.

Hollande è molto meno ‘elogiativo’ nei confronti dei vicini d’oltre Reno. Nel suo discorso programmatico di Le Bourget, il 22 gennaio scorso, il candidato socialista, sempre riferendosi all’onnipresente Germania, ricordava comunque che il problema della Francia non è solo il costo del lavoro, ma anche l’innovazione e la qualità di quello che si fabbrica. Il made in Germany funziona, il made in France molto meno: hai voglia di intervenire sul costo del lavoro… Il 30 per cento del valore aggiunto teutonico deriva dal manifatturiero (e il 23 per cento in Italia). Ma solo il 14 per cento in Francia, praticamente ai minimi europei. E questo è anche il riflesso di una scarsa attenzione alle piccole e medie imprese e all’abbandono repentino della produzione in certi settori, come il tessile-abbigliamento, dove i francesi hanno troppo presto reso le armi di fronte alla concorrenza internazionale.

Hollande si presenta molto più battagliero nei confronti della Germania rispetto a Sarkozy. Se verrà eletto, compirà il suo primo viaggio ufficiale a Berlino. E chiederà alla Merkel di rivedere il patto di bilancio europeo sul quale lunedì 25 Paesi (Francia compresa) sui 27 dell’Unione hanno trovato l’intesa. Nei giorni scorsi Pierre Moscovici, responsabile della campagna di Hollande, ha sottolineato che “nel supposto modello tedesco ci sono anche cose che non vanno imitate”. Da parte della sinistra l’approccio è diverso. Ma la Germania resta il perenne termine di paragone.

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