Un riquadro nero che occupa l’intera prima pagina, con l’estremità destra lambita dalle fiamme. E un titolo semplice quanto eloquente: ‘La Tribune vi saluta’. Così il secondo quotidiano economico francese ha dato lunedì l’addio alla sua edizione cartacea, dopo 27 anni di pubblicazione, cedendo alle difficoltà finanziarie divenute ormai insormontabili.

Nello stesso giorno, il tribunale di Parigi ha dato il via libera all’acquisto della testata da parte di una cordata guidata dal giovane imprenditore tolosano Jean-Christophe Tortora, patron della società editoriale France economie regions (Fer), e al suo piano di riassetto imperniato sul digitale. Un piano ambizioso, che punta a riportare i conti della testata in pareggio entro il 2013, puntando su due assi: un sito rinnovato, con informazioni economiche aggiornate dalle 6 alle 23 e contenuti ‘premium’ a pagamento, e, da aprile, una nuova versione cartacea tabloid, stavolta settimanale, che fornirà ”analisi, spiegazioni, chiarimenti e prospettive” sui temi macroeconomici e un focus su regioni e piccole imprese. Per portarlo a compimento, i nuovi investitori sono disposti ad accollarsi fino a 5 milioni di euro di perdite, ma intendono tagliare drasticamente i costi. Il che vuol dire, soprattutto, ridurre di netto il numero di dipendenti: da 165 a 50, con 31 giornalisti invece di 78.

Il doloroso cambiamento della Tribune non è però un caso isolato nel panorama mediatico francese. Poco più di un mese fa era stato lo storico quotidiano France Soir, fondato in clandestinità nel 1944, a dare l’addio alle edicole, nonostante gli ingenti finanziamenti, spesso a fondo perduto, forniti dal magnate russo Alaxander Pugachev, che lo aveva rilevato nel 2009. Anche in quel caso, il passaggio al tutto digitale era coinciso con un netto taglio del numero di dipendenti, da 127 ad appena 38. Fine ingloriosa per una testata che negli anni Cinquanta e Sessanta superava il milione di copie e dava lavoro ad oltre 400 giornalisti, contendendo al blasonato Le Figaro il posto di numero uno della stampa transalpina.

I guai finanziari non hanno risparmiato nemmeno Le Monde, testata simbolo per la gauche parigina e quotidiano francese più diffuso all’estero. L’anno scorso, la testata fondata durante la Resistenza da Hubert Beuve-Mèry, che da sempre era proprietà dei suoi redattori, ha dovuto rinunciare a questa storica indipendenza, cedendo la maggioranza azionaria a un trio di nomi noti dell’imprenditoria editoriale transalpina: Xavier Niel, fondatore del provider Internet Free, Pierre Bergè, proprietario del magazine gay Tetu e compagno del defunto stilista Yves Saint-Laurent, e Claude Pigasse, patron del settimanale Les Inrockuptibles.

Segnali preoccupanti per la stampa cartacea d’Oltralpe, che deve fare i conti con un inesorabile calo dei lettori: nel 2009, secondo uno studio del Centro di analisi strategica (Cas) del governo di Parigi, la percentuale di francesi che dichiarava di leggere un quotidiano a pagamento era del 29%, contro il 36% nel 1997 e il 43% del 1989. Parallelamente, sono crollati gli introiti pubblicitari (-17,6%), mentre i costi di produzione sono rimasti sostanzialmente costanti, dato che l’impatto positivo delle evoluzioni tecnologiche è stato annullato dall’impennata del prezzo della carta (+70% dal 2007 al 2011). ”E’ il modello industriale della stampa cartacea ad essere oggi in grave pericolo”, sentenzia nella sua ricerca il Cas, sottolineando poi come, in tali condizioni, la ”massa salariale”, ovvero il numero di dipendenti delle testate, finisca spesso per diventare ”la variabile di aggiustamento” nei piani di riduzione dei costi.

di Chiara Rancati

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