David Riondino ha rimpatriato denaro in nero attraverso lo scudo fiscale. Lo ha raccontato lui stesso al processo per truffa contro Gianfranco Lande, il “Madoff dei Parioli”, nel quale l’artista toscano compare come testimone e parte lesa. Dal 1999 al 2006, ha raccontato, ha versato al gruppo di Lande “almeno 450 mila euro”, tutti “in contanti”, perdendo l’intera somma.

Riondino ha raccontato di essersi rivolto nel 2009 a Roberto Torregiani, imputato in un procedimento scaturito dalla stessa vicenda, manifestandogli “l’intenzione di voler riprendere i soldi e di capire come ‘scudare’ il denaro in nero, che era stato investiti all’estero”. Così, ha proseguito, “decido di avvalermi dello scudo fiscale sborsando altre 65 mila euro, e secondo Lande e soci, sulla carta il mio ‘capitale’ era lievitato fino ad un milione e 300 mila euro. Inutile dire che quella cifra non l’ho mai incassata e ho perso tutto con il fallimento della società”.

Rispondendo alle domande del pm Luca Tescaroli, il comico protagonista di trasmissioni televisive e spettacoli teatrali descrive così Gianfranco Lande, che in quello stesso anno subentra a Torregiani nella gestione dei fondi, fino al crac che scoperchierà la truffa ai danni di un migliaio di personaggi della Roma “bene”. “Anche Lande, presentatomi come un grande esperto di finanza era rassicurante, parlava di astrologia del denaro dicendo che c’era un nesso tra la crisi economica e gli astri. E garantiva alti tassi di rendimento nonostante la crisi economica. Nell’autunno di quell’anno, i miei investimenti passarono da Eim a Egp: Torregiani aveva avuto problemi perché non aveva il patentino per poter fare le operazioni finanziarie che faceva prima”.

Con i frutti di quei 450mila euro, Riondino intendeva costruirsi “una sorta di pensione integrativa”, nonché “portare avanti una serie di progetti artistici e realizzare un po’ di sogni, come l’acquisto di una casa. E invece niente”.  Tutto era cominciato dall’incontro con Torregiani: “Era rassicurante, lo conobbi su indicazione di alcuni amici, mi propose di investire i soldi in parte in titoli aggressivi e in parte in titoli a tasso fisso. Mi diceva che avrei riavuto la somma quando ne avessi avuto bisogno”.

Sul suo sito web, Riondino nega di essere stato attratto da tassi d’interessi particolarmente alti – Lande e Torregiani arrivavano a promettere il 17 per cento annuo -, ma anzi di essersi presentato ai due come un investitore dal profilo di rischio “medio-basso”. E al processo ha spiegato: “I miei soldi, mi veniva detto, sarebbero stati investiti in parte in titoli aggressivi e in parte a tasso fisso”.

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