Una bella soddisfazione laurearsi honoris causa a Bologna. Ne sa qualcosa Giorgio Napolitano, che domani verrà insignito dell’alloro nella più antica università del mondo. Anche a Benito Mussolini ne volevano dare una ma lui, dopo esserne stato entusiasta, la rifiutò. La pergamena rimase per sempre senza firma né data e il Duce fece calare il silenzio. Troppe ironie si erano addensate su quella laurea, incluse quelle del martire più scomodo: Giacomo Matteotti.

La storia – scoperta da chi scrive e pubblicata per la prima volta sul quotidiano Avvenire nel 2010 – inizia il 20 ottobre 1923: i quotidiani annunciano che appena nove giorni dopo sarà consegnata una laurea ad honorem al capo del governo. L’occasione è una visita a Bologna per il primo anniversario della Marcia su Roma. L’idea, più che dei docenti estasiati dalla sapienza del fondatore del fascismo, sembra piuttosto di Dino Grandi.

Il giovane gerarca bolognese vuole dimostrare di essere più bravo del segretario provinciale del Fascio, Gino Baroncini, con cui la rivalità è feroce. Se quest’ultimo organizza per Mussolini la cittadinanza onoraria, Grandi sponsorizza per il Duce una laurea in legge. Facile, no?

Il primo rinvio. Subito arrivano i primi intoppi. Serve, infatti, il voto del Consiglio di facoltà e un decreto apposito di Vittorio Emanuele III. Non solo. Il rettore, Vittorio Puntoni, che ha appreso della cosa dai giornali, corre dal Duce a Roma per spiegargli che non si può: lui, come rettore, è a fine mandato e può fare solo ordinaria amministrazione. In più nove giorni sono troppo pochi. Insomma Dino Grandi deve arrendersi e Mussolini a Bologna ci va solo per la cittadinanza.

Il secondo rinvio. Tocca a Pasquale Sfameni, rettore dai primi di novembre 1923, proporre la laurea al Consiglio di facoltà di Giurisprudenza. Il voto dei docenti è unanime e giunge anche il benestare del Re: il Duce diventerà “dottore” il 22 marzo 1924. Partono gli inviti per tutti i rettori d’Italia, nasce un comitato studentesco ad hoc e si pensa perfino a una lapide che ricordi l’evento. Non solo. Il Duce pretende di esporre una sua tesi su Machiavelli (anche se per le lauree ad honorem la tesi non era prevista): “Solo in questo modo mi sentirò degno dell’altissima ricompensa”, va dicendo in giro.

Ma il 9 marzo 1924, a meno di due settimane dalla laurea, arriva il colpo di scena: la cerimonia salta ancora. Ufficialmente per impegni del capo del fascismo dovuti alle elezioni politiche imminenti. Sembra tutta una scusa e comunque da questo momento inizia un balletto di previsioni: si laureerà ad aprile, a giugno, poi a ottobre. Ma tra rinvii e attese la laurea rimane ‘a metà’.

Quando il 21 ottobre 1924 il Corriere della Sera di Luigi Albertini si occupa della vicenda, a Bologna l’imbarazzo è totale e il rettore scrive a Dino Grandi per implorarlo: il Duce si prenda questa benedetta laurea, fosse anche a distanza.

Mussolini si scoccia, il 7 novembre telegrafa al prefetto di Bologna e intima: “Dino Grandi mi comunica (il) testo (della) lettera indirizzatagli (dal) rettore (dell’)università (a) proposito (della) mia oramai troppo famosa laurea ad honorem. Voglia comunicare senza indugio (al) rettore che (il) conferimento sia rinviato sine die».

I motivi del rifiuto e lo spettro di Matteotti. Per lo storico Renzo De Felice il No arrivò semplicemente per “contrasti” nel corpo accademico. Anche Alessandro Ghigi, rettore tra il 1930 e il 1943, nelle sue memorie parla di un docente contrario: Giuseppe Brini.

Questo professore avrebbe sostenuto che Mussolini “non aveva alcun titolo per una laurea honoris causa” e il Duce, comprendendo il malumore, avrebbe preferito lasciar perdere. Ma su Brini non si sono trovati documenti ufficiali e del resto nel novembre precedente anche lui aveva votato a favore della laurea.

E se invece nel rifiuto c’entrasse Matteotti, il cui cadavere ancora caldo tormentava il Duce? A fine aprile 1924 Mussolini fa pubblicare un brano della sua tesi di laurea sul mensile Gerarchia, con il titolo Preludio al Machiavelli. Ma la tesi, per la sua superficialità e per le idee sull’uso della forza, scatena critiche e ironie delle opposizioni e della Chiesa, che si scatenano sulla stampa (ancora per poco) libera.

Anche Giacomo Matteotti lo critica. Il deputato socialista, ucciso da sicari del regime il 10 giugno 1924, scrive infatti il suo ultimo articolo (intitolato Machiavelli Mussolini and Fascism) proprio partendo da una critica alla tesi della laurea bolognese. Comparso postumo a luglio sulla rivista londinese English Life e riscoperto 15 anni fa dallo storico Mauro Canali, l’articolo dimostra che Matteotti sapeva dell’affarismo che si annidava nel regime: «Alti funzionari possono venir accusati di tradimento e corruzione, ovvero del più ignobile peculato», scriveva Matteotti.

Mussolini lo ha letto? Sì, visto che ne giunse subito notizia in Italia. E se non si può dire che fu l’unica causa del rifiuto della laurea, l’articolo di Matteotti potrebbe essere stato uno dei motivi per cui in seguito Mussolini si mostrerà irritato al solo accenno alla questione. Quella tesi criticata e dileggiata diventava imbarazzante e rievocava troppo direttamente la replica di Matteotti sulla corruzione del suo governo.

Da quel momento sulla laurea calò poi il silenzio, tanto che, ancora nel 1942, il rettore Ghigi racconta che il Duce “espresse il desiderio che si soprassedesse”. Del resto a Bologna il Duce era legato da un rapporto difficile. Nel 1926 proprio nella città emiliana l’attentato di Anteo Zamboni segnerà uno spartiacque nelle vicende della dittatura fascista.

Il mistero della pergamena. Che fine fece il diploma di laurea mai firmato? Goffredo Coppola, rettore dell’Università nella Bologna occupata dai nazi-fascisti, è l’ultimo a darci notizia di quel diploma. È il 1° aprile 1945. Coppola scrive: “Il diploma di laurea ad honorem che il Duce rifiutò di accettare e che però non fu né datato né firmato è stato ritirato dal sottoscritto per conservarlo come ricordo”. Coppola non è uno qualunque. È un alto papavero nella repubblica fascista di Salò tanto che succede nel 1944 al filosofo Giovanni Gentile alla guida dell’Istituto di Cultura.

Abbandonata Bologna prima della Liberazione, segue, fedele, il destino del Duce. Catturato con Mussolini, viene fucilato anche lui il 29 aprile a Dongo e gettato tra i cadaveri di Piazzale Loreto. E la pergamena della laurea del 1924? Forse è finita in fondo al lago di Como gettata dai tedeschi in ritirata. Oppure in mano ai partigiani e da lì chissà dove.

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