Stanno ancora scavando tra le macerie dei palazzi di Rio de Janeiro, che sono venuti giù all’improvviso alle otto e mezzo di ieri sera. Per ora il bilancio è di tre vittime. Ma sedici sono i dispersi. Sì, altre persone sono rimaste intrappolate sotto le macerie di quei palazzi, costruiti negli anni Quaranta. Dal modernismo che sapeva già di antico, uno dei tanti “monumenti” ai boom dell’economia brasiliana che furono. Nuovi sogni infranti.

In un periodo della mia vita (pochi anni fa) mi sono ritrovato spesso per quelle strade del centro di Rio. Se solo il dramma si fosse consumato un’ora o due prima, sarebbe stato tutto ancora più terribile. E’ la downtown di Rio de Janeiro, una Rio assolutamente improbabile, che il mare non lo vede proprio, anche se si trova a un centinaio di metri, sotto forma di banchine del porto, per lo più abbandonate (altra occasione mancata). Molti palazzi sono degli anni Quaranta, come quelli che inspiegabilmente sono venuti giù. Poi alcuni edifici coloniali. Più in là la cattedrale metropolitana, un trionfo di cemento, che ricorda l’architettura contemporanea di Brasilia. Subito dietro il vecchio tram che corre sul viadotto e sale sulle colline di Santa Teresa, ex quartiere di ville aristocratiche, poi fortemente decaduto. Oggi in parte recuperato da qualche nostalgico straniero.

Nelle stradine del centro di Rio, almeno durante il giorno, si sposta una fauna composita di piccoli funzionari pubblici, venditori ambulanti, pochi stupiti turisti. E’ un concentrato di gente normale, che cerca di sbarcare il lunario nella nuova potenza economica sudamericana. Dove la vita è sensibilmente migliorata negli ultimi dieci anni. Ma può restare ancora difficile. Quello sciame di gente che cammina veloce, verso non si sa bene dove, talvolta forse da nessuna parte, scompare quasi all’improvviso alla fine del pomeriggio. In quel momento l’atmosfera diventa quasi da Blade Runner, un deserto metropolitano, a parte nei pressi del cinema Odeon, lì dinanzi alla piazza Floriano Peixoto, che un ricco imprenditore spagnolo, ai tempi, volle come versione brasiliana della Times Square di New York. Ancora oggi giovani intellettuali affollano l’entrata del cinema, l’unico rimasto della mitica Cinelandia, l’Hollywood brasiliana che fu, qui nel cuore di Rio de Janeiro. Uno dei tanti sogni brasiliani: anche quello inesorabilmente tramontato. I palazzi che sono crollati erano pieni di uffici di piccoli professionisti. Ieri sera non c’era più nessuno. O quasi. Fortunatamente.

I palazzi di Cinelandia e dintorni si intravedono nel film Orfeo negro di Marcel Camus, del 1959. Erano avveniristici, allora. Orfeo Negro è tratto da una pièce teatrale di Vinicius de Moraes. E’ un melodramma stupendo, la storia di un giovane tranviere di Rio, appassionato di musica. Terribilmente innamorato. Le sue note romantiche, dicevano allora nel centro di Rio, modernista, ricco (solo) di speranze, facevano risvegliare il sole. La sua storia finirà male.

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