Una nave affonda, a causa dell’idiozia e della vigliaccheria del comandante.

Non si sono ancora contati tutti i morti, ed è già satira e divertimento. Il web si riempie di arguzia spontanea, di “salga a bordo,cazzo” da stampare sulle magliette o da usare per sbeffeggiare nei più diversi contesti, di remix della telefonata del comandante con la capitaneria e di battute, battute, battute: il naufragio, il Titanic, l’Italia scogliata. La satira professionale, televisiva e cartacea, non è da meno: “salga a bordo, cazzo” va bene per la Merkel e per Monti, per Sanremo e per la Rai.

Il comandante vigliacco diventa il Comandante Vigliacco e si ride, si ride della sua arrogante stupidità, della sua paura, delle sue scuse ridicole con la guittesca esagerazione della stupidità, della paura, del ridicolo che già sembrava, nella cronaca, aver trovato il suo massimo. Non si sono ancora trovati tutti i dispersi, che sono probabilmente morti, e tutto quello che riguarda il naufragio è non solo diventato parola ma parola buffa, gioco esilarante, calembour scintillante, cortocircuito stimolante. Equilibrato dalle paginate di ritratti delle vittime, confezionate con il fiocco funerario del giocattolo perduto, del sogno infranto, dell’amore lacerato, della giovinezza pulita finita tra le alghe, a farsi spolpare dai pesci.

Come se dei morti normali, senza un loro romantico strazio da fiction, non fossero abbastanza. Non fossero niente. E poi le ricostruzioni, le testimonianze, le interviste ai sopravvissuti, gli Eroi che conosciamo subito per nome. I concittadini del Capitano Vigliacco che innalzano striscioni di solidarietà e spiegano: “Non siamo amici e neanche nipoti, però vogliamo dirgli che non abbandoniamo un figlio di questa terra”. E lacrime, lacrime, lacrime. Da speziare con la ballerina moldava che il ghigno dei repressi già suggerisce comprimaria del dramma virato in porno.

Non si sono ancora trovati tutti i morti del naufragio della Concordia. Ma si sono letti ed ascoltati tutti i morti di questo Paese allucinante dove non c’è più nulla che imponga il silenzio. Nulla che non possa essere sputtanato per farsi due risate o viversi un dolore ipocrita che duri giusto il tempo di un cambio di canale o rincantucciarsi dentro qualche branco che attacca la tana o la difende, che azzanna il colpevole o ne fa il mito di una serata in pizzeria.

Quello che mi chiedo è cosa sia questa voglia improvvisa che mi prende di uscire e spaccare la faccia a qualcuno con una mazza da baseball.

Di Paolo Aleandri

il Misfatto, inserto satirico de Il Fatto quotidiano, domenica 22 gennaio 2012

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