Il bilancio dei micidiali attacchi avvenuti ieri nella città di Kano, nel nord della Nigeria, si è aggravato di ora in ora. Dalle prime notizie arrivate nel corso della giornata, si è capito che le venti esplosioni coordinate che hanno squassato la città, capitale dello stato omonimo, avevano ucciso, e molto. Il conteggio delle vittime è ancora in corso e al momento i morti accertati sono almeno 150 (163 secondo l’Agence France Presse), ma centinaia di persone sono rimaste ferite e gli ospedali della città non riescono a gestire tutte le emergenze. Il personale della Croce Rossa nigeriana continua a raccogliere feriti.

Gli attacchi sono stati rivendicati dall’organizzazione terroristica Boko Haram, la stessa che a Natale aveva fatto strage di cittadini cristiani, colpendo molte chiese. Stavolta, invece, le bombe, una ventina in tutto, hanno colpito nel mucchio, uccidendo indistintamente cristiani e musulmani, che sono la maggioranza tra i nove milioni di abitanti di Kano.

Nella rivendicazione, Boko Haram ha sostanzialmente dichiarato guerra al governo federale nigeriano, guidato dal presidente Goodluck Jonathan (cristiano e del sud del paese, una doppia “macchia” agli occhi dei terroristi), che ha dichiarato lo stato d’emergenza a Kanu e imposto il coprifuoco. Tra gli obiettivi dei Boko Haram: quattro stazioni di polizia, un ufficio passaporti, un ufficio immigrazione e il quartiere generale locale del Servizio di sicurezza dello stato, l’intelligence nigeriana.

Secondo alcune testimonianze, alcuni attacchi sarebbero stati portati da attentatori suicidi, ma la polizia nigeriana ancora non conferma questa ipotesi. Il portavoce del gruppo terroristico, Abul Qaqa, ha invece detto che gli attacchi sono stati decisi perché il governo federale non ha rilasciato alcuni membri del gruppo, detenuti nelle prigioni di Kano.

Con questa serie di attacchi, senza dubbio i più sanguinosi della sua storia, il Boko Haram (il nome vuol dire più o meno, l’educazione occidentale è proibita), ha reso evidente un salto di qualità della sua capacità operativa e militare. Fondata del 2002, l’organizzazione è salita alla ribalta mediatica internazionale solo sette anni più tardi, quando i suoi miliziani hanno attaccato e distrutto una serie di stazioni di polizia nella città di Maiduguri, uccidendo centinaia di persone. A dicembre 2010, un’altra ondata di attentati rivendicati dal gruppo è costata la vita a 80 persone nella città di Jos e nell’estate scorsa, nella capitale federale Abuja, sono stati colpiti il quartier generale della polizia e la sede degli uffici dell’Onu.

Nel 2009, dopo gli attacchi a Maiduguri, la polizia nigeriana riuscì ad arrestare il fondatore del gruppo, l’imam Mohammed Yusuf, che però morì in cella, probabilmente per i maltrattamenti. Da allora, secondo le analisi più diffuse, nel gruppo si sarebbe creata una sorta di leadership collegiale, senza un nuovo leader chiaramente individuabile, tanto che i Boko Haram spesso fanno riferimento a se stessi come “yusufiya”, quelli di Yusuf. Il salto di qualità nelle attività terroristiche – per i primi anni molto “blande” – sarebbe dovuto ai maggiori legami tra il gruppo nigeriano e il network jihadista di Al Qaida nel Maghreb islamico e forse anche all’aiuto ricevuto dagli Shabab somali in termini di addestramento e armi, oltre che alla radicalizzazione della leadership in risposta alla dura repressione messa in atto, anche con mezzi molto spicci, dal governo federale nigeriano. Repressione che il presidente Jonathan ha confermato, sia mettendo in stato d’emergenza a fine dicembre quattro stati del nord del paese, sia annunciando che per il 2012 un quinto del bilancio federale sarà speso per la sicurezza interna.

L’esercito nigeriano non ha un buon record né di efficienza, né di rispetto dei diritti umani e una repressione indiscriminata, come quella a suo tempo usata contro i ribelli del Delta del Niger, non farà altro che il gioco dei terroristi – probabilmente appoggiati anche da qualche settore delle forze armate che non vede di buon occhio la leadership di Jonathan. Il rischio è che lo scontro governo-terroristi possa diventare la scintilla per una più vasta contrapposizione tra il Nord e il Sud di questo colosso da oltre 160 milioni di abitanti. Con conseguenze disastrose per tutta l’Africa occidentale.

di Joseph Zarlingo

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