Il virus del nazionalismo estremista dell’Ungheria di Viktor Orban ha contagiato la Transilvania, la più grande e più sviluppata regione della Romania. Nelle ultime settimane stanno crescendo i sussulti patriottici della minoranza ungherese della regione, e c’è già chi parla di secessione. Insomma il conservatore e per molti versi autoritario premier ungherese diventa un modello, avverando gli incubi della comunità internazionale preoccupata per l’onda di reazionarismo che potrebbe partire da Budapest.

“Abbiamo il potere e anche la volontà di forgiare la nostra unità nel XXI secolo per preservare i valori che abbiamo ereditato”, ha dichiarato Kelemen Hunor, leader dell’Unione democratica magiara di Romania (UDMR), la formazione politica di riferimento della minoranza ungherese. “Anche se oggi non ci sparano più contro con i cannoni, si cerca sempre di strapparci la nostra storia”. Parole che se non sono una dichiarazione di secessione ufficiale, molto le somigliano.

Si perché a quanto pare il nazionalismo di Viktor Orban sta facendo proseliti oltre confine, facendo sognare tutti quegli abitanti della Transilvania che sentono ancora l’Ungheria nel sangue. D’altronde la storia della regione è piuttosto complicata. Terra contesa tra i due Paesi, la Transilvania è stata annessa alla Romania nel 1918 dopo la fine della prima guerra mondiale e il collasso dell’impero Austro-ungarico. Da allora, e dopo il crollo del comunismo ad Est, Romania e Ungheria hanno trovato un delicato equilibrio per quanto riguarda la minoranza ungherese che vive oltre confine (7 per cento dei 22 milioni di rumeni in Transilvania).

Il governo a maggioranza assoluta di Orban, l’homo novus del nazionalismo ungherese, e i suoi discorsi pieni di retorica patriottica, hanno riscaldato i cuori di chi oltreconfine sogna ancora il ritorno della “grande Ungheria” smembrata dalle “plutocrazie occidentali” nel primo dopoguerra. Un sentimento che si vede anche da piccoli episodi. Il quotidiano Le Monde racconta di una partita di hockey giocata il 16 dicembre scorso tra Romania e Ungheria, in cui i giocatori rumeni ma di origine ungherese si sono rifiutati di cantare l’inno rumeno preferendo invece le liriche della patria dei propri genitori. I supporter della nazionale rumena non devono aver gradito.

Sta di fatto che anche Bruxelles continua a guardare con occhio preoccupato ad Est. La minaccia dell’Ue, supportata dal Fmi, di ritirare i 15-20 miliardi di dollari di finanziamenti a Budapest, qualora non ritiri le tanto contestate modifiche alla nuova Costituzione, sono più che concrete. Soldi di cui l’Ungheria ha bisogno più che dell’ossigeno, visto che il rischio default incombe sul Paese. Ma l’Ue ha parlato chiaro: o il governo di Orbán garantisce l’indipendenza della Banca centrale ungherese, o i fondi Ue se li può scordare. Secondo le ultime indiscrezioni, Budapest sarebbe disposta a fare un passo indietro, ma non è ancora chiaro su cosa e in che proporzione, dal momento che i punti sotto accusa della nuova Costituzione sono molti, dalla Banca centrale alla libertà dei media nazionali.

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