Sono passati cento anni dall’affondamento del Titanic, i giornali hanno già cominciato a ricordare quella data e a riraccontare per l’ennesima volta come allora, cento anni fa, il grande mito della modernità s’infranse contro quel maledetto iceberg nel mare gelido dell’Atlantico.

E adesso in una notte di gennaio una nave molto più grande del Titanic con 4.000 persone affonda quasi nello stesso modo. Un gigante, una città, una grande balena adagiata su un fianco a riposare sugli scogli vicino al porto dell’isola del Giglio. Sembra impossibile che sia potuto accadere. Eppure le tragedie si verificano proprio quando si è così sicuri dei mezzi che si hanno a disposizione che si crede di poter fare a meno di ciò che invece è indispensabile e insostituibile: il fattore umano.

Oggi abbiamo molti più strumenti di cento anni fa ma ciò non ha impedito a un comandante provetto di portare una nave modernissima su uno scoglio, uno dei tanti affioranti nel Tirreno in quel tratto di mare che tutti coloro che navigano sanno essere particolarmente insidioso. Di nuovo superficialità, inesperienza, impreparazione dell’equipaggio, di nuovo scialuppe che si ribaltano, cime che si spezzano, carrucole bloccate, di nuovo tanta paura e disperazione, di nuovo tanti morti e feriti. Mancano all’appello 40 persone, difficile pensare che siano vive.

La domanda come sempre è: perché è successo? La solita domanda che ci si fa quando succedono tragedie come queste. Vale la pena di ripensare la sicurezza in mare, non dimenticando che, seppure sempre più parchi giochi e occasioni di intrattenimento, le navi hanno bisogno di personale specializzato e preparato.

Oggi, su queste città galleggianti, trionfo del cattivo gusto, del kitch e del finto lusso, è imbarcato personale di ogni nazionalità al minimo dei costi soprattutto per rendere più confortevole il soggiorno alle migliaia di turisti che ogni settimana vanno avanti e indietro per i porti del Mediterraneo e non solo. Quanto di questo personale è addestrato in caso di inconvenienti o addirittura di tragedie? Lo abbiamo visto: troppo poco.

Non è poi possibile lasciare una nave al buio, in caso di incidente dovrebbe esserci un impianto sostitutivo in grado di assicurare comunque i servizi essenziali. Invece l’altra notte il buio è stato immediato e le scialuppe sono rimaste a volte bloccate dalla mancanza di elettricità.

Spostiamo il traffico sul mare, aumentiamo pure le rotte per cercare di alleggerire le nostre strade ma non dimentichiamoci che il mare non è asfaltato e che la notte deve far sempre paura quando si naviga. E che le navi non devono transitare in tratti di mare troppo delimitati e stretti col pericolo, in caso di incidenti, di inquinare le coste (ancora oggi è autorizzata la navigazione ai super transatlantici nel canale della Giudecca di Venezia, davanti a S. Marco!). E che forse abbiamo esagerato. Le navi sono navi, non solo città del divertimento. “Se ce lo dimentichiamo poi succedono le tragedie”, mi disse qualche anno fa un ingegnere navale ormai a riposo

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