Se è ovviamente impossibile collegare due deliberazioni non  equiparabili come il voto dell’assemblea di Montecitorio sulla autorizzazione all’ arresto per Cosentino e la sentenza della Cosulta che boccia il referendum anti-Porcellum, non si può invece ignorare come questo pessimo “combinato disposto” acuisca la frustrazione degli elettori e l’insofferenza per le istituzioni.

I giudici della Consulta oggetto più del solito di pressioni, strattonamenti partitici, previsioni interessate, scodellate con un’arroganza e una sicumera disgustosa, ci faranno conoscere a breve le motivazioni di una scelta che, secondo almeno un centinaio di autorevoli giuristi, non era tecnicamente scontata e che impedisce il vaglio della democrazia diretta sul motore  stesso del sistema democratico: le regole sul voto dei cittadini. Questo avviene non in un momento qualsiasi  ma in presenza di un governo tecnico sostenuto da una maggioranza trasversale, assolutamente legittima in una democrazia parlamentare, ma diversa da quella uscita dalle urne. E la  legge elettorale  su cui i cittadini avrebbero dovuto pronunciarsi non era una delle tante, ma l’impareggiabile Porcellum finalizzato a creare un Parlamento di nominati ossequienti ai capipartito.

Quanto i nominati rispondano a chi li ha messi in lista in posizione sicura e ad interessi “metapolitici” piuttosto che ai propri elettori è stato confermato ad abundantiam, se ancora ce ne fosse stato bisogno, dall’esito del voto in aula sull’autorizzazione all’arresto dell’ ex sottosegretario all’economia, potentissimo coordinatore del Pdl in Campania e dimissionario in extremis, Nicola Cosentino.

Il voltafaccia di Bossi, evidentemente persuaso dagli argomenti “pesanti” di Berlusconi ha prodotto, insieme alla pattuglia dei franchi tiratori all’ombra del voto segreto, l’effetto che solo alla vigilia sembrava insperato: 309 no e 298 sì alla custodia cautelare per Cosentino. L’uomo che i magistrati del riesame, riconfermando la richiesta del pm in forza “della gravità indiziaria evidenziata da materiale probatorio di vastissime dimensioni” , considerano “referente politico nazionale del clan dei casalesi” almeno fino al 201o, motore delle attività di investimento edilizio, commerciale e di riciclaggio facenti capo alla camorra a Casal di Principe.

Il cortocircuito antidemocratico che si è obiettivamente realizzato con questa singolare e nefasta “coincidenza” sta anche nell’ulteriore e plateale esibizione della  mancanza di decoro e dignità di un parlamento che ha salutato con gli applausi “la liberazione”, per la seconda volta, di un suo rappresentante coindagato insieme ad altri 56, tutti in carcere, con capi di imputazione che spaziano dal falso, alla violazione della legge bancaria, dall’associazione esterna al riciclaggio.  I magistrati definiscono nell’ordinanza l’iter dell’intera operazione, che includeva anche assunzioni in cambio di voti, come “un esempio da manuale” di “reimpiego nel progetto di profitti di natura camorristica” e cioè di riciclaggio.

Il parlamento dei nominati in forza del Porcellum, in modo quasi più sprezzante di quanto facesse il parlamento degli inquisiti ai tempi di Tangentopoli, ha abusato del suo potere, si è fatto giudice dei magistrati, ha invaso il campo del potere giudiziario e con l’alibi del fumus persecutionis ha salvato uno che avrebbe avuto probabilmente da raccontare qualcosa in più di Alfonso Papa.

Nello stesso giorno ci è toccato di vedere a quali bassezze si presta sempre con molta disinvoltura una nutrita maggioranza degli “eletti” e contemporaneamente di sapere che non potremo cancellare la legge che li ha prodotti. Con la possibilità nemmeno troppo remota di potere persino tornare al voto con la medesima legge o nella migliore delle ipotesi con una nuova gradita agli stessi personaggi, Berlusconi in primis, che hanno nominato questo molto onorevole parlamento.

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