Uno scambio di vedute sui rapporti bilaterali e internazionali e sulle comuni preoccupazioni per la situazione regionale. Questi ufficialmente i temi in agenda nella visita del primo ministro cinese, Wen Jiabao, nei Paesi del Golfo, come annunciato dal ministero degli Esteri di Pechino. Parafrasando il linguaggio della diplomazia cinese, i sei giorni di viaggio in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti, che inizieranno domani, saranno incentrati sulle forniture di petrolio e sulle tensioni nell’area, alla luce delle rivolte arabe e soprattutto dell’inasprimento delle sanzioni contro l’Iran legate al programma di arricchimento dell’uranio e della minaccia di Teheran di bloccare lo stretto di Hormuz per il quale transita il 40 per cento del greggio mondiale.

Secondo i dati della Energy Information Administration, la Cina è il principale importatore di petrolio dalla Repubblica islamica, comprando il 22 per cento del petrolio estratto nel 2010. “Le relazioni economiche e commerciali tra Cina e Iran non hanno niente a che fare con il programma nucleare”, aveva detto all’inizio di gennaio il viceministro degli Esteri cinese, Cui Tiankai, “Non possiamo mettere assieme problemi così diversi”. Da sempre Pechino si oppone a sanzioni unilaterali come quelle imposte lo scorso 31 dicembre da Washington che colpiscono chi fa affari con la Banca centrale iraniana e di fatto ostacolano i pagamenti per il greggio. All’inizio della settimana il segretario Usa al Tesoro , Timothy Geithner era a Pechino per convincere la dirigenza cinese ad allentare i propri rapporti con Teheran ricevendo tuttavia una fredda risposta. Secondo quanto riportato dall’agenzia finanziaria Bloomberg, tuttavia, la Cina potrebbe beneficiare delle sanzioni statunitensi e di quelle europee che dovrebbero essere approvate il 23 gennaio. Le sanzioni metteranno il Paese in una posizione di forza nelle trattative. Di conseguenza potrà ottenere prezzi e condizioni contrattuali migliori. Inoltre le petroliere cinesi potranno giovarsi della protezione delle pattuglie statunitensi che presidiano lo stretto di Hormuz senza pagare un centesimo.

Wen potrebbe tuttavia esortare i sauditi a mettere sul mercato parte delle proprie scorte di greggio in caso di embargo contro Teheran. Quella del premier è la visita di più alto livello della Cina a Riad dopo il viaggio del presidente Hu Jintao nel 2009. L’Arabia Saudita è il principale fornitore di petrolio della Repubblica popolare dal 2002 e Pechino potrebbe presto diventare il primo acquirente di petrolio saudita superando gli Stati Uniti. Il Qatar, dal canto suo è invece diventato per i cinesi il principale fornitore di gas naturale.

A contornare il viaggio sarà firmato un accordo tra la Sinopec e la compagnia statale saudita Aramco per la costruzione di una raffineria nel porto di Yanbu, sul Mar Rosso, con una capacità di 400mila barili al giorno. La stessa Aramco è coinvolta in una joint venture per la costruzione di una raffineria nel sud della Rpc in collaborazione con la PetroChina. I cinesi considerano Riad un partner affidabile che negli anni passati li ha rassicurati a più riprese sulla continuità delle forniture per alimentare la loro crescita economica, scriveva ad agosto Erica Downs, esperta di Asia e mercato energetico del Brookins Institute. Tant’è che il viaggio di Hu due anni fa, fu seguito nove mesi dopo da una laurea honoris causa conferita dall’Università di Pechino, il più prestigioso ateneo del Paese, all’allora ministro saudita per il Petrolio e le Risorse naturali Ali al Naimi, per gli sforzi nel garantire la stabilità del mercato globale. La cooperazione tra i due Paesi è commerciale e non politica, sottolineano gli esperti. D’altronde Pechino deve fare attenzione ai rapporti conflittuali tra i sauditi a maggioranza sunnita e gli sciiti iraniani. Rivalità acuita dalle rivelazioni a ottobre sul complotto di Teheran per uccidere l’ambasciatore di Riad a Washington. I leader cinesi e del Golfo avranno anche occasione di scambiare opinioni e preoccupazioni sugli sviluppi della Primavera araba. All’inizio di febbraio Pechino reagì alle sollevazioni con arresti e fermi preventivi per evitare che la rivolta potesse dilagare anche nella Repubblica popolare. Un nervosismo eccessivo e per certi versi immotivato secondo gli analisti, pur non dimenticando i numerosi focali di protesta e il malcontento sociale contro corruzione, abusi dei funzionari e dispute sui salari. “La Cina si augura che tutti i problemi possano essere risolti in modo pacifico e con il dialogo”, ha sottolineato il viceministro degli Esteri, Zhai Jun, “Ci auguriamo che la comunità internazionali preservi la sovranità e l’integrità territoriale di questi Paesi”.

di Andrea Pira

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