Sarah Scazzi

L’assedio è solo mediatico. All’interno dell’aula Emilio Alessandrini al primo piano del palazzo di giustizia di Taranto, tirato a lucido per l’occasione, il numero di giornalisti, operatori, fotografi e forze dell’ordine supera di gran lunga i cittadini che chiedono di assistere all’udienza. Delusi quanti la sera precedente già immaginavano un servizio dedicato alla gente venuta per vedere Sabrina Misseri e sua madre Cosima Serrano, le due donne ritenute dalla procura ionica le assassine di Sarah Scazzi, la 15enne strangolata il 26 agosto 2010 ad Avetrana.

Madre e figlia, tramite i difensori chiedono e ottengono di non essere riprese dalle telecamere, ma forse con un po’ di ritardo: l’ordinanza del tribunale arriva dopo la diffusione delle prime riprese che immortalano le donne di casa Misseri. Qualche emittente le diffonde in diretta. Monta la polemica tra gli operatori che non sono riusciti di girare quelle immagini. Eppure nessuno si perde d’animo: c’è ancora tanto che si può mandare in onda. C’è Michele Misseri, lo zio accusato di aver occultato il cadavere di Sarah. Il contadino arriva circondato dalle telecamere. Entra in aula si siede a pochi metri dalla moglie e dalla figlia, ma non riesce ad avere contatti con loro. Per ore resta immobile.

Chi invece può essere ripresa è la famiglia di Sarah, ma anche mamma concetta, papà Giacomo e il fratello Claudio scelgono il silenzio. E così gli avvocati si sacrificano: tocca a loro rilasciare decine e decine di interviste durante le pause dell’udienza. Commentano la richiesta di riesumazione del cadavere della 15enne formulata dall’avvocato di Mimino Cosma, spiegano perché si contesta l’ammissione di parte civile del comune di Avetrana, si oopongono alle parole del pm Mariano Buccoliero che a loro dire troppo presto avrebbe affermato che Sabrina aveva “una vera e propria ossessione” per Ivano Russo, il giovane che divise le cugine.

Fuori dal tribunale intanto va in scena la protesta degli ambientalisti tarantini che approfittano della massiccia presenza dei media nazionali per denunciare il vero problema di taranto. “Sulla morte di Sarah – si legge uno striscione – avete speculato, ma del nostro inquinamento non avete mai parlato”. Non c’è tempo però per le telecamere nazionali di soffermarsi sulla protesta: qualche secondo di immagine può bastare. Per i morti di tumore non c’è spazio nei rotocalchi nazionali e nei programmi di approfondimento.

Oltre sei ore di udienza in un tribunale completamente rinnovato per l’occasione. Muri tinteggiati, bagni rifatti e transenne a delimitare le aree accessibili a pubblico e giornalisti. Ovunque uomini delle forze dell’ordine, in divisa e in borghese. “Buona la prima!” direbbe qualcuno. Il 17 gennaio si replica.

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