Era un Tour de France della seconda metà degli anni novanta. Stava per concludersi una tappa impegnativa, ed erano in fuga due corridori, di cui uno era Ian Ullrich, già leader della corsa e favorito per la probabile volata. I due corridori si parlarono, poi Ullrich fece un segno inequivocabile rivolto al compagno sfregando pollice contro indice e medio. Tradotto: “quanto mi paghi?”, inteso “per lasciarti vincere la tappa”.

Ritengo questa immagine – purtroppo introvabile su Youtube – emblematica della nostra società: tutto ha un prezzo. Anche se, divagando, magari “tutto ha un prezzo, niente ha un valore”. Sembra una bestemmia, ma in una società economica per antonomasia, ed in un periodo di crisi, voglio andare controcorrente e riaffermare il carattere essenziale della gratuità.

Non è facile parlare di gratuità, di piacere del dono. Buona parte delle nostre azioni che chiamiamo gratuite, in realtà sottintendono un desiderio di ricompensa. Massì, largheggiamo, parliamo di gratuità anche quando ci attendiamo un ritorno. Parliamo di gratuità per tutto ciò che esula dal pagamento in denaro od altro, per tutto ciò che entra a far parte del Pil. Accidenti, ma ci pensate che bello si potesse vivere fuori da questo stramaledetto Prodotto Interno Lordo?

Che fantastico sarebbe poter esulare dal prezzo, dal “quanto costa?”, dal “quanto mi paghi?”, dal “vale/valgo tot”. In questi mesi in cui ho avuto il piacere e l’onore di scrivere su queste pagine ho già raccontato dell’avventura dei Ricchiardi, quella coppia che vive isolata nelle Langhe, ma non per questo senza rapporti col mondo, e che pratica regolarmente il baratto. Ma pensiamo a quante altre forme ci sarebbero di vero e proprio disturbo a questa bastarda economia malata di denaro.
Ho parlato del couchsurfing, del mettere a disposizione un letto gratuitamente per i giovani che si spostano nel mondo. Ma non ho anche od ancora parlato d’altro.

Un giorno pochi mesi fa ero a Lipari ed un mio amico ha abbandonato per strada un libro con una dedica per chi l’avesse preso e letto. Gli ho detto: “ma che fai?” faceva bookcrossing, metteva a disposizione un libro per altri, facendo circolare gratuitamente la cultura. E che dire dei mercatini del gratuito, non dove compri uno e ricevi due, ma è proprio tutto gratis. E delle banche del tempo, in cui ognuno può mettere a disposizione un po’ della sua capacità, delle sue esperienze da donare ad altri e così una microeconomia potrebbe tirare avanti solo su gratuite prestazioni e circolazione di diversi saperi?

Quanti Comuni le propagandano? Già, in fondo, che interesse hanno? Cosa gliene viene ad essi, nelle loro tasche comunali, dal dono? Ad essi, tutti proiettati ad introitare oneri di urbanizzazione ed a creare grandi e piccole Spa per la distruzione dei nostri servizi pubblici? E poi, sì, certo, la gratuità del volontariato, dal sociale all’ambientale. Quante persone (magari, direte, purtroppo sempre di più) hanno tempo libero, potenzialmente, da dedicare agli altri in senso lato (ma poi lo fanno?). Eppure che bello sarebbe: ogni atto chiamiamolo d’amore, ogni dono, un granellino di sabbia che si infila in questa disumana economia e ne fa scricchiolare, prima un poco, poi sempre di più, gli ingranaggi fino a che va in tilt, sbiella, rantola, si ferma. Vinta. Soggiogata.

Non sono sognatore di natura, ma talvolta ho queste derive utopistiche, poi qualcuno mi scrolla la spalla: “Fabio, Fabio, che fai, dormi?”. “Sì, cosa c’è? Ah già…” mi stropiccio gli occhi e torno alla terribile realtà del quotidiano.

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