Nuovi dettagli stanno emergendo sui due magrebini sospettati dell’omicidio della piccola Joy e del padre a Torpignattara. Abitano a Roma, nel quartiere di Casal Bertone, non lontano dal luogo dell’agguato, anche se gli investigatori spiegano che in realtà il loro domicilio era probabilmente un indirizzo di comodo. Non avevano un luogo fisso di riferimento, una sorta di manovalanza criminale pronta ad agire in diversi punti della città, magari su commissione.

“Ora stiamo concentrando tutte le forze sulla cattura dei due”, spiegano i carabinieri, che da diversi giorni sono sulle loro tracce. A cinque giorni dal duplice omicidio la priorità è questa: per le indagini sul contesto e sui reali moventi dell’agguato si aspetta la cattura. Dalle primissime ricostruzioni, inoltre, si ipotizza che dietro l’agguato mortale, vi possano essere dei mandanti ancora ignoti. Tanti, del resto, i punti ancora oscuri sull’intera vicenda: i due magrebini potrebbero non aver agito come ‘cani sciolti’, ma con indicazioni precise e con una pianificazione dettagliata del colpo. Forse qualcuno del posto, probabilmente uomini o organizzazioni che ben conoscevano l’attività dell’imprenditore cinese ucciso.

Il punto di partenza per capire il contesto della rapina è senza dubbio il suo piccolo ufficio, a circa cento metri dal bar gestito dalla moglie, ultima tappa prima della rapina. Le due serrande metalliche di via Bordoni – piccola traversa di via Casilina – sono abbassate dalla notte del 4 gennaio scorso, quando Zhou Zheng ha lasciato i locali dove gestiva l’attività di money transfer, per andare a prendere la moglie e la piccola Joy. Quell’ufficio non era un posto qualsiasi. Secondo gli abitanti del luogo spesso si vedevano alcuni furgoni blindati entrare nella stretta strada, per fermarsi davanti a quel money transfer. Segno di un giro d’affari non indifferente, che potrebbe spiegare così la consistenza della cifra ritrovata all’interno della borsa abbandonata dai rapinatori. Un movimento che deve aver attirato l’attenzione del gruppo di rapinatori e, soprattutto, di quei mandanti ancora sconosciuti.

Il quartiere di Torpignattara è stato letteralmente invaso negli ultimi anni da piccoli negozi che svolgono l’attività di trasferimento di soldi all’estero. Spesso si tratta di centri telefonici e internet, che ricevono e gestiscono le rimesse mensili dei migranti della zona verso i paesi di origine. La voce comune nel quartiere è che accanto a queste attività normali e diffuse in tutta Italia, si sia sviluppato un sistema parallelo che consente la movimentazione di grandi somme, evitando le rigide norme antiriciclaggio. Un vero e proprio sistema finanziario alternativo, che può essere gestito solo da chi possiede una grande liquidità e i contatti giusti.

I veri affari a Torpignattara, però, sono le tantissime bische della zona, dove si può tentare l’azzardo a qualsiasi ora del giorno e della notte. Basta leggere gli orari esposti sulle vetrine per rendersi conto di quanto sia fiorente l’attività: una sala con slot machine sulla centrale via Torpignattara è aperta, ad esempio, tutti i giorni, fino alle cinque del mattino. In questo quartiere ad est della stazione Termini ci sono giochi per tutte le tasche e per tutti i gruppi sociali. Si parte dalla sala Bingo sulla via Casilina, dove le famiglie giocano piccole fortune seguendo, nella sala fumosa ricavata da un ex cinema, le estrazioni dei numeri sotto lo sguardo attento di un gruppo di cinesi. Ci sono i locali di videolottery, il sistema più evoluto di slot machine, collegate in rete nazionale, con jackpot che possono sfiorare i cinquecentomila euro.

Un miraggio che fa scorrere a fiumi le monete. E anche in questo caso le comunità cinesi hanno una sorta di vero monopolio. Ma a Torpignattara, raccontano gli abitanti, nei tanti locali dedicati al gioco ci sono anche i tavoli da poker, dove imprenditori che arrivano da tutta Roma giocano intere fortune. L’ultimo sequestro è avvenuto sulla via Casilina, dove gli agenti del locale commissariato hanno messo i sigilli un paio di mesi fa ad una bisca made in China: “Non c’erano neanche le slot machine – raccontano i vicini – solo tavoli e tanti mazzi di carte nuove, pronte per alimentare partite interminabili”.

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