Solo Roberto Bolaño (1953-2003) con la sua scrittura delirante, delicata e ironica poteva cavarsela meravigliosamente in un racconto di necrofilia. S’intitola Il ritorno e fa parte della raccolta Puttane assassine (Sellerio) ed è la storia d’un impiegato parigino che gli prende un colpo mentre balla con la bella Cecile. Pur odiando Ghost, si ritrova in una situazione simile a quella di Patrick Swayze nel film: dall’alto vede il suo cadavere. Ma altro che melensaggini hollywoodiane: Cecile se la dà a gambe, il cadavere viene rimosso e la gente riprende a ballare. Sempre dall’alto il tipo vede il proprio povero corpo trasportato alla morgue e quindi – la mattina successiva – trafugato da due infermieri nella villa dello stilista Jean-Claude Villenueve. La bella notizia, scrive Bolaño, è che esiste la vita dopo la vita; la brutta che Villenueve è necrofilo. E non fa piacere vedere che quel che resta di te sta per essere inchiappettato.

Il riferimento al racconto è per dire che non sei mai sicuro del tuo culo neanche da morto. A febbraio esce il “nuovo ” romanzo di Bolaño (I dispiaceri del vero poliziotto) e leggendo la nota della vedova dello scrittore cileno, Carolina López – nella versione spagnola edita da Anagrama che mi sono procurato su Amazon.es –, apprendo che è un’operazione di riesumazione letteraria. Il testo è stato recuperato in parte da un dattiloscritto, in parte da una stampa da computer senza memoria e in parte da un computer normale (filologia dell’assurdo contemporaneo molto alla Bolaño). Non mancano, nella nota, i ringraziamenti al potente agente letterario newyorchese Andrew Wylie, lo Sciacallo, già al centro di un’operazione simile con un altro suo cliente, Vladimir Nabokov (L’originale di Laura). È perciò lecito avere qualche dubbio sulla correttezza dell’operazione. Bolaño ha conosciuto il grande successo solo da morto ma non fino a questo punto. Di più: la López ha ceduto i diritti a Wylie solo dopo la scomparsa del marito mollando la mitica agente spagnola Carmen Balcells.

Fin qui le cattive notizie. Ora bisogna dire che Bolaño è talmente bravo che scrive bene anche da morto e la natura frammentaria e aperta della sua opera si adatta molto di più a operazioni di necrofilia letteraria di quanto succeda per un Nabokov. Los sinsabores del verdadero policía ha tutta l’aria di un regalo per i lettori a partire dalla prima pagina dove Padilla, giovane poeta di Barcellona, sostiene che la poesia è omosessuale (il romanzo invece etero) e i poeti si dividono varie correnti: froci (maricones), checche (maricas), checchine (mariquitas), pazze (locas), busoni (bujarrones) ecc. Whitman frocio, Neruda checca. La poesia italiana, secondo Padilla, autore d’un poema in versi alessandrini su cinquanta modi di masturbarsi, uno più doloroso dell’altro, è poesia di checche. Checche Ungaretti, Montale, Quasimodo (el trío de la muerte), frocio Leopardi… Pavese era una pazza triste (loca triste). Padilla finisce a letto con un professore, Amalfitano, dopo avere ascoltato con lui un reading di Pavese, Dialoghi con Leucò. Amalfitano viene cacciato dall’università di Barcellona per sodomia e finisce in Messico.

Tra poeti scombinati e persi per le strade del mondo, delitti messicani, progetti artistici assurdi (un film su Leopardi con Vargas Llosa nella parte del conte Monaldo), amori e liquori di tutti tipi (poteva mancare il mezcal Los Suicidas?), Los sinsabores del verdadero policía rimanda all’ultimo (si fa per dire) romanzo del picaresco e visionario scrittore cileno, 2066, ma anche a Detective selvaggi… E possiamo dire che lo sciacallo Wylie non ha infierito sul cliente. Come lo stilista di Putas asesinas che risparmia al cadavere l’estremo oltraggio, e il fantasma, sempre dall’alto, tira un sospiro di sollievo per il mancato inchiappettamento. Peccato non esista una vita dopo la vita e Bolaño dall’alto non veda. O forse meglio così.

Roberto Bolaño, I dispiaceri del vero poliziotto, Adelphi, pagg. 224, € 18,50; in libreria dall’8 febbraio

Saturno, 30 dicembre 2011

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