Le liberalizzazioni degli orari nel commercio sono materia di competenza regionale. Questa la risposta dell’Emilia Romagna al pacchetto normativo Cresci Italia confezionato dal governo Monti assieme ai ministri Passera, Moavero e Severino, e al presidente dell’Antitrust Catricalà.

“Noi siamo una regione che ha già raggiunto un equilibrio molto avanzato, risultato di concertazione fra tutti i soggetti protagonisti del settore”, spiega l’assessore regionale al Commercio, il riminese del Pd, Maurizio Melucci, “neanche in Europa c’è una liberalizzazione così spinta. Mi pare una materia che andrebbe affrontata con più cognizione di causa”.

Cognizione che appartiene, non solo per legge ma soprattutto per competenze, agli enti locali: “Per noi è normale avere la rete distributiva aperta quindi: liberalizziamo cosa? Un’attività commerciale che possa tenere aperto tutta la notte? Lo può fare già. Non c’è bisogno di ulteriori liberalizzazioni. L’equilibrio che avevamo raggiunto noi permetteva ai commercianti di scegliere l’orario più idoneo per la clientela a cui faceva riferimento”. Ecco perché l’Emilia Romagna sta valutando di presentare ricorso alla Corte costituzionale, assieme a Toscana, Puglia e Piemonte, e a cui stanno pensando di unirsi anche Lazio e Veneto. “Non stiamo facendo una battaglia di retroguardia. Stiamo difendendo un equilibrio già avanzato, che è un’altra cosa”. Serve “fare capire al governo che è tema di competenza delle regioni, dandogli la possibilità di regolamentare in materia di orario. Perché l’Italia non è tutta uguale, ogni regione ha le sue specificità”.

“Una cosa sono le limitazioni nella liberalizzazione dell’apertura delle attività commerciali senza contingentamenti di nessun tipo, che però è stata ampiamente superata negli anni – prosegue l’assessore – altra cosa sono gli orari, che dovrebbe essere materia delle regioni e dei comuni”.

E Sel si spacca. A Bologna la questione ha suscitato un subbuglio politico tale da portare alla spaccatura netta di Sinistra Ecologia e Libertà, con posizioni contraddittorie rispetto ai dogmi classici dei singoli partiti. A sorpresa la consigliera comunale Cathy La Torre si è dichiarata favorevole alla liberalizzazione ricordando che “già nella riforma degli enti locali negli anni Novanta era previsto un provvedimento simile, ideato per favorire una conciliazione tra i tempi di vita e di lavoro dei cittadini, e il commercio”.

Secco invece il ‘no’ del consigliere regionale del medesimo partito Gian Guido Naldi, “assolutamente contrario” al provvedimento: “in Italia c’è già un eccessivo permissivismo e un’apertura sregolata tutte le domeniche, 24 ore al giorno, peggiorerebbe le condizioni lavorative in maniera ingiustificata. Con un reddito calante non vedo come le famiglie potrebbero essere incentivate a spendere di più a fronte di questa soluzione. Inoltre si ripercuoterebbe contro le imprese più piccole, che farebbero fatica a offrire orari simili. Sono d’accordo con i commercianti”.

E con la Lega Nord, a quanto pare. Il primo partito che, contrariamente alle previsioni, ha spalleggiato la Regione esprimendo da subito il proprio disaccordo rispetto al decreto. Il provvedimento, ha dichiarato il consigliere Manes Bernardini, non farebbe altro che penalizzare i piccoli commercianti e le botteghe, mettendo in crisi un’intera categoria a fronte di benefici pressoché nulli. Sulle posizioni della Lega Nord probabilmente influisce il discorso del turn over garantito delle maestranze straniere, con cui i commercianti locali non possono rivaleggiare: “con i cinesi non può competere nessuno – afferma anche l’assessore Melucci che però precisa – nemmeno la grande distribuzione è in grado di fare orari oltre quelli che stanno facendo, perché c’è un rapporto fra costi e benefici. Aprire oltre gli orari che stanno facendo per loro diventa antieconomico”.

Vista da vicino, quale può essere dunque il motivo di queste liberalizzazioni? “Sinceramente non lo so – risponde l’assessore dalla Regione – Con 3 giorni di chiusura l’anno, le attività possono sono già rimanere aperte con l’orario che ritengono utile. Liberalizzare ulteriormente significa agevolare i territori che non sono turistici, tutto a vantaggio delle grande distribuzione. Ma il problema che abbiamo è di mantenere le realtà minori che fanno già fatica a sopravvivere”. I piccoli esercizi (fino a 150 mq. di superficie di vendita), che in Emilia Romagna rappresentano oltre il 90% del numero totale, “rischierebbero di soffrire ulteriormente”.

La posizione dei piccoli commercianti. Dalla manovra Cresci Italia sembrerebbe arrivare un provvedimento che acuisce anziché risolvere la crisi. Monti spariglia le carte del commercio, senza – pare – che ci sia un risvolto pratico logico, come confermano i commercianti, secondo cui la liberalizzazione generalizzata non rilancerebbe i consumi ma arrecherebbe solo gravi problemi in termini di concorrenza e di sopravvivenza dei più piccoli. “Il rischio è che i cittadini si abituino a ricorrere ai punti vendita più lontani ma aperti fino a tardi, abbandonando le piccole realtà locali che si trovano costrette, in un momento di forte crisi, o ad aumentare il personale, o a sottoporsi a turni massacranti” ha denunciato Enrico Postacchini, presidente di Ascom Bologna. “Oppure devono rimanere chiusi, perché è normale che i bottegai non possano tenere il passo con le grandi catene, che la sera tornino a casa e abbiano un giorno di riposo. Questa liberalizzazione disorganizzata costringerebbe migliaia di persone a cambiare il proprio stile di vita, a turni lunghissimi e a orari sregolati per stare dietro a qualche paranoico che alle tre del mattino vuole comprare le scarpe”.

Autorizzare l’apertura arbitraria dei negozi, poi, solleva il problema dell’occupazione anche per le grandi catene commerciali e la domanda che sorge di fronte alla necessità di coprire turni più lunghi è relativa alle condizioni contrattuali. La sera, la domenica e nelle feste i dipendenti andrebbero pagati di più, o se ne dovrebbero assumere altri: quali misure contrattuali sarebbero necessarie, affinché l’apertura sia effettivamente vantaggiosa economicamente? “Noi non intendiamo comunque approvare un piano di aperture indiscriminate” ha sottolineato Luca Panzavolta, amministratore delegato di Conad “perché in certi periodi non conviene e lì sta ai singoli compiere le dovute valutazioni”.

Il caso Modena. Un esempio di liberalizzazione regolamentata l’ha proposto Modena, il cui modello ha già riscosso opinioni favorevoli dalle istituzioni, dai commercianti e dai sindacati. Una rotazione settimanale che prevede, ogni domenica, un negozio o un supermercato aperto dove fare la spesa, secondo un calendario concordato che escluderà l’anarchia e quel minaccioso scontro Davide contro Golia che i piccoli negozianti temono. L’accordo è stato firmato da tutti i soggetti interessati, trovando anche il favore dei rappresentanti dei lavoratori ma ora la sua applicazione è minacciata dal decreto deregulation.

di Annalisa Dall’Oca e Ilaria Giupponi

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