La colpa è del più debole. Il debole che ingombra l’ufficio postale per avere la pensione in contanti perché non sa come incassare gli assegni (anche se il sistema è comodissimo per la banca). La colpa è del precario che petula per avere uno straccio di ammortizzatore sociale che lo porti a sopravvivere senza passare per la Caritas.

La colpa è del lamentoso cinquantenne che è stato appena licenziato, per ragioni che riguardano non lui e il suo lavoro ma il bilancio dell’impresa venduta e rivenduta fino a perdere il nome del proprietario. A lui, quasi lo stesso giorno, è stato detto che andrà in pensione alcuni anni più tardi, così da esporlo all’inconveniente fastidioso di restare senza lavoro e senza pensione non dieci ma quindici anni. Tutto ciò per il bene del Paese.

Infatti in alto, sulle colline del privilegio, si accampano i lavoratori che hanno ancora un contratto e gli anziani esosi che, dopo quarant’anni di lavoro e di contributi (cifre immense per milioni di persone, che qualcuno avrà pure investito) sono dei parassiti della vecchia pensione e anzi, cari miei, la stanno sottraendo ai giovani, che pensioni così non ne vedranno mai più. Circolano infatti piccole cifre per far sapere ai giovani, che intanto nessuno assume, quanto piccola sarebbe – a confronto con i vecchi – la loro pensione se mai avessero un lavoro continuativo.

Quanto ai sindacati, che sono il vecchio che torna, al massimo li vediamo un quarto d’ora ciascuno, ma tutti insieme mai, perché sarebbe concertazione, una cosa da evitare come la pornografia. Intanto si allarga lo “spread” tra Italia e Germania.

Serve a dire che un Paese che ha forti sindacati, operai nei consigli di amministrazione e salari doppi, è molto più affidabile di un Paese che considera il licenziamento rapido la vera soluzione, e consiglia con autorità a ciò che resta di vivo nel sindacato di abbassare i toni. Ecco dove cade – per bene intenzionata che sia – tutto il peso della manovra.

Il Fatto Quotidiano, 5 gennaio 2012

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