Sono passati ventuno anni da quel 4 gennaio del 1991, quando la Uno bianca dei fratelli Savi incrociò una pattuglia di carabinieri al Pilastro, quartiere periferico di Bologna. Una strage: tre giovanissimi militari vengono investiti dal “fuoco amico” dei “poliziotti-banditi”. E proprio in questi giorni Marino Occhipinti, l’ex poliziotto membro minore della banda che in pochi anni trucidò barbaramente 24 persone e ne ferì oltre 100, ha chiesto al tribunale di sorveglianza di Venezia la semilibertà.

Occhipinti, 46 anni, nel febbraio del 1988 prese parte ad un assalto a un furgone della Coop di Casalecchio di Reno (Bologna), durante il quale venne uccisa una guardia giurata. Occhipinti era un poliziotto della squadra mobile di Bologna. Venne arrestato il 29 novembre 1994, quando era vice-sovrintendente della sezione narcotici, ed è detenuto da quel giorno con una condanna all’ergastolo per i crimini commessi con la banda della Uno bianca: associazione a delinquere, omicidio volontario e rapina. Nell’aprile del 2010 uscì per la prima volta dal carcere di Padova grazie ad un permesso premio. Anche se per poche ore. Partecipò alla Via crucis organizzata a Sarmeola di Rubano, nel padovano, da Comunione e Liberazione presso l’Opera della provvidenza di Sant’Antonio.

In quel caso il tribunale di sorveglianza affermò, tra le critiche dell’associazione vittime della Uno bianca, che per il detenuto “sussistono tutti i requisiti di legge per l’ammissione all’esperienza dei permessi premio”. E arriva in questi giorni la richiesta di semilibertà al tribunale di sorveglianza di Venezia. In caso di semilibertà la legge prevede che il condannato trascorra la maggior parte della giornata all’interno di un istituto per poi uscire e partecipare ad attività lavorative o comunque utili per il reinserimento nella società. La semilibertà può essere concessa dopo aver scontato la metà della pena, o in caso di ergastolo almeno 20 anni. Occhipinti ha passato 17 anni in carcere, ai quali ne vanno aggiunti 4 per buona condotta.

Negli ultimi anni Occhipinti aveva chiesto più volte permessi premio. E il primo concesso fu proprio quello dell’aprile 2010, con un decreto firmato dal giudice Giovanni Maria Pavarin. Pochi mesi dopo quel permesso, decise di chiedere scusa alla città, e a tutti coloro a cui causò dolore e sofferenza. “Ogni tentativo, ogni gesto, ogni occasione per chiedere scusa per quel che ho fatto è linfa vitale per il mio stato d’animo — scriveva — perché, anche se ora posso definirmi sereno, ci sono delle cose, dei fatti, delle tragedie che non si possono e non si devono in alcun modo cancellare”. In quei giorni del 2010 i requisiti per chiedere la semilibertà c’erano già, anche se l’avvocato di Occhipinti, Milena Micele, disse di non averne ancora parlato con il suo assistito. Oggi, invece, il legale preferisce non rilasciare alcuna dichiarazione.

Anche gli altri membri della banda si trovano tuttora in carcere. Roberto Savi, cofondatore della banda insieme al fratello Fabio, ed ex poliziotto, si trova nel carcere di Opera. Il 3 agosto del 2006 chiese la grazia al tribunale di Bologna, ma fu poi ritirata in seguito al parere sfavorevole espresso dal procuratore generale di Bologna, Vito Zincani. Nell’ottobre del 2008 si è sposato con una detenuta olandese del carcere di Monza. Il fratello Fabio si trova, invece, nel carcere di Orvieto, unico componente insieme a Roberto presente a tutte le azioni criminali della banda. Mentre Alberto Savi, fratello minore dei due, che faceva il poliziotto al momento dell’arresto, si trova nel carcere di Padova.

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