Una sera del settembre 1971. Liliane Kempf sta uscendo dalla scuola del figlio: al 35 di rue Milton, a Parigi. Madame Kempf è la rappresentante dei genitori. E deve riconsegnare alla bidella, Marthe, la chiave della sala dove si è appena svolta una riunione. Marthe vive in un piccolo spazio, all’entrata, con il marito. Insiste perché Liliane dia un’occhiata ad alcuni dipinti dell’uomo, nascosti sotto la tovaglia della cucina. Lui non li vuole mostrare. Ma in quel momento è fuori: Marthe coglie l’occasione al volo. Liliane nicchia. Poi, alla fine, cede.

Solo così Marcel Storr, ormai considerato uno dei maggiori artisti francesi della seconda metà del Novecento, emerse dal suo mondo immaginario. Altrimenti, è molto probabile che nessuno l’avrebbe mai scoperto. La sua opera è ora esposta a Parigi al pavillon Carré de Baudouin (fino al 10 marzo). Ma anche girando su Internet potete ammirare alcune delle sue tele, sorprendenti. Sono riproduzioni minuziose di cattedrali e di megalopoli, dai colori vivaci: rosa, rosso, ocra… Marcel era un assoluto autodidatta: alle spalle solo un’esistenza triste, misera, con varie permanenze in ospedali psichiatrici.

A Parigi viene classificato nell’art brut, l’«arte grezza» dei non professionisti, spesso psicotici. Influenzato dai paesaggi urbani parigini, dalla televisione francese degli anni Sessanta e Settanta, dal quartiere della Défense, allora in costruzione, oggi un monumento al postmoderno che fu… Marcel Storr «costruiva» con il suo immaginario. Visionario, forse. Le sue opere «parlano» a tutti. Immediate, per niente cerebrali.

Nacque a Parigi nel 1911. Ma sua madre lo abbandonò subito, convinta dal suo amante del momento. Lo lasciò all’Assistance publique. Da allora fu affidato a diverse famiglie della campagna. Non andò mai a scuola, solo al lavoro nei campi. Malato, preso a botte, è già allora che divenne quasi sordo. Ritornò a Parigi, dove si barcamenò con vari lavoretti, fino a essere assunto come cantoniere al Bois de Boulogne, a pulire le strade, raccogliere foglie morte. Nel 1943 sposò Marthe, donna fragile, malata d’epilessia. Fu lei ad avere l’idea, una sera del settembre 1971, di mostrare le tele di Marcel a Liliane Kempf, collezionista d’arte assieme al marito Bertrand.

Marthe morì di lì a poco, tre anni dopo. Le condizioni di Marcel peggiorarono, afflitto da manie di persecuzione. Si rifiutava a qualsiasi progetto di esposizione. O a vendere i suoi quadri. Si spense nel 1976, ricoverato a più riprese in ospedali psichiatrici negli ultimi anni. I Kempf si sono sempre battuti perché venisse riconosciuto il suo talento. E’ stata dura, nel piccolo-grande mondo dell’arte parigino, snob e chiuso ermeticamente. Negli ultimi anni, finalmente, ci sono riusciti. «Architetto clandestino», «costruttore visionario». A Parigi, ormai, Marcel lo chiamano così.

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