Una Padania libera e indipendente come unica via di uscita dalla crisi per i popoli del nord. Tra un piatto di trippa e una poesia in vernacolo, da mercoledì sera alcuni volti noti del panorama leghista, su tutti Roberto Cota e Roberto Castelli, si sono alternati al microfono del Berghém Frecc, la festa provinciale della Lega bergamasca, per scaldare i militanti (non si sono viste folle oceaniche) in vista dell’arrivo dei pezzi grossi, attesi per il gran finale: ospiti Umberto Bossi, Roberto Maroni e Roberto Calderoli. Il tema di fondo è stato esposto prima dall’ex viceministro delle Infrastrutture, poi dal governatore della regione Piemonte. Entrambi hanno argomentato la posizione con motivazioni differenti, parlando di sanità regionale e del rincaro delle autostrade, giungendo però alla medesima conclusione: “Il nord per salvarsi deve andare da solo, verso una Padania libera e indipendente”. Roberto Castelli ha anche spiegato che “non si tratta di un atto di egoismo” e nemmeno di una faccenda connessa alla Lega: “Abbiamo due strade davanti, o affondiamo tutti insieme o ci salviamo liberandoci della zavorra. Io sono per la seconda ipotesi”. Insomma, la secessione è una questione di sopravvivenza, mors tua vita mea.

Lo show più brillante è stato quello di Davide Boni, presidente del consiglio regionale lombardo, che con postura ecumenica ha invocato una Lombardia finalmente padana, libera da Formigoni, che “è lombardo e ogni tanto si veste di verde, ma altre volte…”. Boni gli ha poi augurato di andare presto a Roma: “Speriamo si voti nel 2012, così ce ne liberiamo presto e completiamo la sequenza, con il Piemonte di Cota e il Veneto di Zaia, agli altri rimarrà ben poco da dire se tre regioni che da sole fanno il 56% del Pil vanno alla Lega”. La serata è stata tutta un indottrinamento delle truppe, a cui parlamentari e consiglieri regionali hanno spiegato per filo e per segno cosa pensare e cosa rispondere ai gazebo: “Ditelo anche ai vostri amici, magari qualcuno che vota a sinistra, spiegate come stanno le cose”.

Già, perché la Lega per riuscire nel suo progetto deve smarcarsi dagli alleati ingombranti e per riuscirci ha bisogno di consensi: “Noi eravamo determinanti al Governo – ha spiegato Castelli – ma avevamo solo l’otto per cento e così certamente bisogna accettare tanti compromessi con gli alleati. Per una cosa che ottieni c’è una cosa che devi dare”. A fine serata, prima di suonare il Va pensiero, c’è stato spazio anche per un’invettiva contro l’Inno di Mameli da parte del consigliere regionale Roberto Pedretti: “E’ un anno che ci torturano i cosiddetti con sto inno nazionale per i festeggiamenti del centocinquantesimo. Noi abbiamo un sola in regione che in accordo con Pdl e Pd ci costringeva all’inizio del consiglio regionale ad ascoltare l’inno di Mameli. Per fortuna non abbiamo più consigli quest’anno. Forse non hanno capito una cosa, che i padani da 25 anni hanno un inno nazionale, che è l’inno del Va pensiero, a noi non ce ne frega niente dell’altro inno”.

Il palazzetto era pieno ma non gremito. Tra il pubblico leghista non sembra ancora essere scoccata l’ora del disincanto. Si respira entusiasmo per le parole dei leader e fiducia per la realizzazione del sogno padano. Ai militanti del Carroccio sono bastati quaranta giorni di governo Monti per dimenticare vent’anni di promesse non mantenute e di istanze secessioniste cavalcate ad intermittenza da Bossi e dai suoi colonnelli, per tornare a sperare che questa, possa essere la volta buona.

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