L’anno iniziato in Egitto con stragi di cristiani copti si avvia a chiudersi nel segno di un altro massacro: il bagno di sangue che ha funestato il Natale nigeriano.

Benedetto XVI ha ribadito ieri il suo cordoglio per le vittime, condannando la violenza come “una via che conduce solamente al dolore, alla distruzione e alla morte”. Anche oggi come nell’antichità, ha ricordato il Papa, “la sincera adesione al Vangelo può richiedere il sacrificio della vita e molti cristiani in varie parti del mondo sono esposti a persecuzione e talvolta al martirio”. Una preoccupazione che conferma l’angoscia già espressa dal pontefice per i dolorosi precedenti dei mesi scorsi. Come a metà ottobre, quando una trentina di copti furono uccisi durante una manifestazione al Cairo, dove l’esercito intervenne brutalmente contro i dimostranti. Lo scoppio di violenza contro la minoranza copta rappresenta un crinale di quella “primavera araba” che, iniziata in gennaio in Tunisia, ha significato e continua a significare per milioni di cittadini da Tunisi a Damasco la speranza di società più democratiche e libere.

Tra il pericolo del montare delle forze fondamentaliste islamiche e lo spettro di nuovi autoritarismi il rischio maggiore è che tornino ad affacciarsi sulla scena difensori dei “regimi antichi”, insomma quelle dittature che per decenni hanno garantito bene o male una certa presenza delle comunità cristiane arabe nel gran mare della società islamica. In effetti, fossero capeggiati da Saddam, Assad padre o Mubarak, i regimi del pugno di ferro sono sempre stati prevalentemente “laici” e per motivi di politica estera o interna hanno sempre combattuto il fondamentalismo islamico e fatto mostra di preservare più o meno la presenza delle Chiesa cristiane.

Naturalmente, proprio perché la ricetta non consiste in un ritorno al “si stava meglio quando si stava peggio”, la questione della persecuzione dei cristiani in Medio Oriente non è un affare di soli diritti umani o un problema meramente confessionale. L’Europa dovrebbe muoversi con maggiore energia poiché è in gioco la prospettiva di arrivare (o no) sulla sponda opposta del Mediterraneo all’instaurarsi di regimi basati certamente sul patrimonio culturale e religioso islamico, ma chiaramente garantisti sul piano dei diritti civili, dell’effettiva eguaglianza dei cittadini, della piena libertà di culto. Da questo punto di vista preservare e difendere la presenza dei cristiani nelle società islamiche – cristiani spesso di antichissima tradizione come in Irak, Siria ed Egitto – equivale di per sé a garantire una dimensione pluralista a queste nazioni.

I segnali non sono incoraggianti. Dall’Egitto, secondo le ultime notizie, sono già in fuga centomila copti. Forse la cifra è eccessiva, ma il clima di paura per l’eventualità di un sopravvento del fondamentalismo islamico spinge alla partenza decine di migliaia di esponenti della borghesia copta che da sempre rappresenta una delle componenti più dinamiche e modernizzatrici della società egiziana. In Iraq la dissennata invasione di Bush ha provocato un caos, nel quale le minoranze cristiane sono finite logorate dalla lotta fra le fazioni musulmane e dall’avvento del terrorismo integralista. L’idea di creare un “distretto cristiano” nella zona di Ninive è stata giustamente respinta come la prospettiva di un ghetto, ma l’ipotesi stessa – sorta dopo una catena di attacchi terroristi a chiese e fedeli – rivela la situazione pericolosa in cui sono precipitati i cristiani. Oltre mezzo milione è già fuggito e secondo altre fonti il totale sarebbe già di seicentomila profughi. In Siria il vescovo Samir Mazloum, del patriarcato maronita di Antiochia, ha dichiarato che un “nuovo regime potrebbe essere anche più dittatoriale ed estremista di quello di Assad”.

Se si guarda oltre lo spazio mediorientale, anche al di là della cappa oppressiva del regime iraniano dove i cristiani sono sistematicamente ghettizzati, impressiona la catena di aggressioni anticristiane – culminate spesso in assassini – in Pakistan e in India a opera di estremisti islamici e induisti. Per questo motivo, all’indomani del massacro del Cairo, la Conferenza dei vescovi cattolici latini dei Paesi arabi – riunita in Vaticano – ha chiesto l’intervento della Santa Sede, augurandosi anche che i cristiani mediorientali non siano lasciati soli dall’Europa. Monsignor Camillo Ballin, vicario apostolico di Arabia del Nord esclama: “I cristiani hanno paura. In Egitto, in Iraq, Siria e Yemen si vive sotto una cappa di continua tensione. La nostra gente è esposta alla violenza e si avverte una mancanza di protezione”. Sarebbe un errore, dichiara ad Asia News il portavoce della Chiesa cattolica in Egitto, padre Greiche, se i governi europei si bloccassero in un non-intervento.

Il Fatto Quotidiano, 27 Dicembre 2011

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