“In fondo il coraggio è ottimismo. Io non ero coraggiosa perchè non ero ottimista”. Rubo alla Fallaci di “Lettera a un bambino mai nato” una citazione che mi accompagna sempre. Sempre ma non “da sempre”. Molto a lungo nella vita, anche io non sono stata coraggiosa perchè in fondo ero pessimista. Di un pessimismo che non è’ la capacità di vedere le cose come realmente sono o di fingersi la realtà’ peggiore di quella che è. La realtà’, infatti, puo’ essere abbastanza spaventosa da non obbligarci a fingercela peggiore.

Era il pessimismo di quando ci si convince che non si possono cambiare le cose, non si puo’ modellare la propria realtà’, non si può inseguire un’aspirazione, non si può’ coltivare un sogno. Il pessimismo di quando le proprie insicurezze vengono amplificate da un contesto che avvilisce e sfinisce.

Ci sono molte cose per le quali amo New York (“quell’isola vicina agli Stati Uniti”), così come ce ne sono tante per le quali amo l’Italia naturalmente. Di una cosa però sono grata a questa città ed è per avermi “contaminato” con quell’attitudine ottimistica che nasce da un profondo pragmatismo e dalla quasi totale assenza di propensione alla lamentazione. La mia amica Ginny, quando ancora mi faccio vincere dal mio lato “drammatico” mi dice: “dov’e’ la mia amica newyorchese?”.

Un anno fa a Natale abitavo ad Harlem e odiavo salire quelle rampe di scale ripide, per arrampicarmi nel mio piccolo studio. Ero lontana da tutto ciò’ che mi era familiare e dagli amici più cari e le tempeste di neve mi obbligarono ad una specie di isolamento, a cui cedetti quasi completamente sentendo forte la voglia di arrendermi. Poi un giorno, durante un incontro con altre donne, Amy, raccontava della sua nuova casa, a Brooklyn, al 50mo piano e di quanto l’amasse e di quanto, allo stesso tempo, fosse spaventata da quell’affitto enorme che aveva paura di non poter pagare. Per quello aveva deciso di cercare più lavoro e lo aveva trovato e ora ne aveva talmente tanto da dover cercare un’assistente. La guardavo rapita e pensavo “Anche io voglio una casa cosi. Anche io voglio essere contenta”. Tornata a casa ho mandato una raccomandata dando i due mesi di preavviso e il giorno dopo mi sono messa alla ricerca della mia nuova casa. Due mesi sono passati un un baleno e io non avevo trovato nulla: due appartamenti li avevo persi perchè non erano accettati i cani. Quando sono entrata nello studio dove vivo, fuori pioveva a dirotto e faceva un gran freddo. Avevo i piedi bagnati e voglia di piangere. Ero molto poco newyorchese in quel momento. Poi sono entrata e mi sono sentita, banalmente e semplicemente “a casa”. Permettermi il mio nuovo studio, in quell’ Upper West Side che adoro, mi ha costretto a cercare nuovo lavoro ma cercandolo, l’ho trovato e, a distanza di un anno, sono di nuovo qui, lontana dalla mia famiglia per Natale, ma sono “a casa”.

Qui ho imparato ad essere coraggiosa nonostante la paura. Qui mi sono sentita finalmente libera di essere ottimista nonostante il mio atavico pessimismo. Lo avrei imparato anche a Londra o a Parigi, ne sono certa. Ma New York e’ il posto perfetto per ciò che io cercavo. Cercavo dentro di me il coraggio di essere ottimista.

In quest’anno, ho scritto tanto e ho letto tanto di ciò che voi mi scrivevate (leggo tutto o quasi). E ve ne ringrazio senza retorica o piaggeria. E ho trovato amici e amiche impagabili che questo blog ha messo sulla mia strada come luci che mi rischiarano la strada nei momenti bui. Un augurio di ottimismo quindi a tutti. Un augurio speciale a Manuela che mi scrive delle email da incorniciare, a Mariangela che aspetto qui, ad “ovest” delle nostre paure, a Zar e Vera che mi mandano raggi di sole, a Leonardo ormai amico prezioso e alla sua Licia; e a tutti, davvero a tutti coloro che, insieme a questa città’ meravigliosa, mi hanno fatto diventare ottimista.

Vi auguro ottimismo, dunque. Intenso, sfrontato, incessante, audace, appassionante e meraviglioso ottimismo. E, perciò, coraggio.

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