L'attore Alessandro Riccio (fonte: www.teladoiofirenze.it)

Un’eredità da spartire, molti segreti da nascondere, un falsario di Montevarchi. E’ questo il plot di Gianni Schicchi, di e con Alessandro Riccio, al Teatro Puccini di Firenze dal  26 dicembre, a fine anno. Liberamente tratto dall’omonima opera di Giacomo Puccini (basata sul XXX Canto dell’Inferno di Dante), è una rivisitazione dissacrante delle vicende di Schicchi e racconta una storia ambientata nella Firenze trecentesca: l’importante famiglia Donati, orfana del suo capostipite Buoso, cade in una cupa disperazione quando scopre che l’intera ricchezza accumulata in vita è stata donata ai frati fiorentini. Determinata a non cadere in rovina, affida a Gianni Schicchi la soluzione del dilemma.

La versione di Riccio però non è classica e ricorda, in quanto a scalpore, la prima assoluta del 1918, quando il Metropolitan di New York rimase come sospeso, quasi incapace di esprimersi in un giudizio: irriverente verso la matrice tradizionale del teatro, il regista accoppia la mise en scène con l’arte urbana. Ne viene fuori uno spettacolo visionario e futuristico, soprattutto grazie alla scenografia del writer e street artist Clet Abraham, diventato famoso per la sua geniale rilettura dei segnali stradali (chi non ha presente l’omino che trasporta la banda bianca del divieto d’accesso?).

Oltre all’interpretazione di Ricci, sorprendente nel suo sdoppiarsi in due personalità entrambe credibilissime, molto bravi anche Silvia Frasson, Maria Paola Sacchetti, Daniela D’Argenio, Marcello Sbigoli, Matias Endrek, Gabriele Giaffreda, Matteo Meli, Alessio Nieddu e Francesco Mancini, capaci di trasportare lo spettatore al di fuori del tempo.

Insieme alla quota di sperimentazione, altro plus dell’opera è la solidarietà con Oxfam Italia, associazione toscana da 30 anni impegnata nella lotta contro la povertà (l’incasso di una serata sarà devoluto a sostegno dei progetti di questa Organizzazione Non Governativa).

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