«Non ho in mente nulla, al riguardo». E così il ministro Fornero, dopo essersi ritrovata al centro di un formidabile fuoco incrociato, ha fatto dietrofront, togliendo dal tavolo della riforma del lavoro il tema dell’articolo 18. Tutto risolto, dunque. Tutto come prima.

Eppure resta l’impressione che in Italia si stia consumando uno scontro che ha poco di “politico” o di “classista”, e molto di “generazionale”. Diciottisti contro diciottenni: è così, forse è una semplificazione un po’ rozza, ma è così. Da una parte chi i diritti ce li ha e li vuole (legittimamente) difendere con tutti i mezzi a sua disposizione. Dall’altra chi i diritti non ce li ha e forse non ce li avrà mai. E che – ed è qui il vero problema – non ha mezzi, né avvocati, né sindacalisti, né megafoni per farsi ascoltare se non quelli dell’indignazione spontanea, della piazza, della protesta. I giovani che non hanno lavoro. E che se hanno lavoro non hanno un contratto. E che se hanno un contratto hanno poche speranze e pochissime garanzie. Sono loro l’unica “classe” da difendere. Sono loro il vero problema italiano (e forse occidentale). E passa da loro ogni tentativo di risanamento del paese, di crescita, di sviluppo, di equità.

In un mondo perfetto – anche se questo significa rischiare l’impopolarità e l’inimicizia di lobby, corporazioni, sindacati – la politica non ci penserebbe due minuti a scendere in campo al loro fianco, a battersi per costruire i diritti di domani più che per difendere quelli di ieri. Per semplificare fino in fondo: tra i “giovani” e i “vecchi”, pochi dubbi su chi scegliere.

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