È nata, è nata! E così Karima el Mahroug, compie l’ennesima metamorfosi della sua breve e densa biografia, da ragazza dissoluta e scapestrata, a madre discreta e pudica, da Rubacuori a santa.

Come tutte le favole a tinte forti, anche questa si alimenta di leggenda e fantasia. L’ultimo capitolo (per ora) lo ha scritto Luca Risso, compagno della ragazza che fece tremare Arcore, la presunta “nipote di Mubarak” su cui il Parlamento discettò e votò, per scongiurare – ci raccontarono – una crisi internazionale: “La bimba – dice Risso – sta bene. Pesa tre chili e 700 grammi, l’abbiamo chiamata Sofia Aida”.

Ma la leggenda parallela, sovrastando la notizia, ha acceso anche il mondo del web, scatenato in lazzi feroci come: “È nato PierMubarak. Oppure “La figlia di Ruby è nata maggiorenne”, o anche: “Domani si terranno i test di paternità a San Siro dalle 9 alle 19”. Per chiudere con la più prevedibile: “Le prime parole: Papi”. Fino ai magistrali cattivacci di Spinoza: “È nata la figlia di Ruby, Ghedini la inserisce nella lista dei testimoni”.

È quindi straordinario che, simbolicamente, mentre il dispositivo di rinvio a giudizio (ormai retrocesso nell’agenda dei media a notizia minore) ci dice che secondo i magistrati di Milano ad Arcore c’erano festini con prostitute, mentre la drammaturgia delle “cene eleganti” si vira di luce rossa, l’immagine di Ruby sia invece in queste ore trasfigurata angelicamente (e provvidenzialmente) in quella più dolce di neomadre.

Proprio per questo forse, per tenere in esercizio la memoria, è interessante ripercorrere la saga della marocchina che fece tremare il governo: sembra mille anni fa, era solo il novembre 2010, e sui media se ne dissero, e scrissero, di tutti i colori. Il 21 dicembre, gusto un anno fa iniziava l’indagine. L’accusa: “Concussione e prostituzione minorile”.

Che strano effetto rileggere quelle prime e frettolose dichiarazioni invecchiate così precocemente, ripercorrere il turbinoso valzer di parole che avvolse l’Italia. A partire ovviamente da Silvio Berlusconi che, interrogato sull’inchiesta Bunga Bunga, sibilò: “Sono qui a parlare di spazzatura vera, non di spazzatura mediatica”. E poi: “Io sono uno di cuore, mi muovo per aiutare le persone in difficoltà”.

E che dire di Roberto Maroni, ministro dell’Interno, che si stupiva delle domande sul caso? “Parliamo di politica, per favore”. E Bondi? Tuonava: “È l’ennesimo capitolo di una campagna scandalistica, il segno più spaventoso di una inciviltà che minaccia di corrodere le fondamenta della nostra vita democratica”. Boom!

E la trasecolata Nicole Minetti? Inconsapevole di quello che avremmo appreso poi, si schermiva: “Ci tengo a precisare che con la signorina Ruby non ho rapporti di amicizia”. Emilio Fede (più tardi avremmo scoperto che era proprio lui il “talent scout”) cadeva dalle nuvole con candore virginale: “Credo di aver conosciuto quella ragazza a qualche cena a casa Berlusconi, ma non gliel’abbiamo presentata né io, né Lele Mora”.

È istruttivo ripercorrere questo alfabeto di mirabili corbellerie, per scoprire quanto la memoria di questo paese sia corta. Alla controinformazione del Pdl si aggiunse presto quella della fanciulla marocchina: “Mio padre mi ha ripudiata perché sono cattolica”, “Silvio è come la Caritas, mi ha aiutata, gli voglio bene”. Fino all’ultima perla: “Vorrei fare il carabiniere, ma sto dall’altra parte”. Ruby iniziò la sua metamorfosi piangendo sul divano di Alfonso Signorini a Kalispera, mentre le indagini parlavano di una ragazza capricciosa che andava da Genova a Milano in taxi e fuggiva nella notte per non pagare il conto.

Un’altra eroina veniva ora plasmata dai media amici, mentre lei, parlando con il padre al telefono diceva (26 ottobre): “Silvio ha detto all’avvocato ‘ Dille che la pagherò il prezzo che vuole l’importante è che lei chiuda la bocca, che neghi il tutto, e che dica… che dica pure di essere pazza ma l’importante è che lei mi tiri fuori da tutte queste questioni, che io non ho mai visto una ragazza che ha 17 anni, o che non è mai venuta a casa mia’”.

E Ruby la pazza la fece benissimo, facendo turbinare una giostra di disinformazja su carta stampata, su cui dovrebbero assegnare tesi nelle scuole di giornalismo. Mentre il parroco di Letojanni, don Adelino Affannato si stupiva (“Conosco la sua famiglia che è musulmana, di sicuro in parrocchia non l’ho mai vista”), il Foglio sfidava l’iperbole (“Berlusconi ha fatto benissimo a dire spavaldo che ama le donne”), Niccolò Ghedini annunciava profetico: “Quando saranno resi noti gli atti documentali e testimoniali sarà agevole comprendere la risibilità degli attuali assunti giornalistici”. Stefania Prestigiacomo azzardava una critica feroce al suo leader: “Forse Berlusconi esagera in generosità”.

Franco Frattini, ministro degli Esteri, assicurava: “Berlusconi ha testualmente detto che era stata segnalata come una parente di Mubarak”. Mara Carfagna: “I tempi dell’inchiesta fanno pensare a una persecuzione”. E di nuovo Ghedini, sublime: “Berlusconi ha avuto occasione di scherzare con Mubarak durante una cena, presenti gli ambasciatori, dicendo che aveva conosciuto una sua parente molto bella”. Fede chiosava che in realtà era “bruttina”, Inascoltato M’Hamed el Marough, il padre di Ruby, diceva: “Davanti a una storia del genere un genitore può solo provare vergogna, mia figlia è una bugiarda”. E allora fu Lele Mora a chiarire tutto: “Berlusconi ha una fidanzata, di trent’anni”.

Ma il punto più alto della saga fu il conflitto di attribuzione con cui il Parlamento voleva strappare l’inchiesta ai giudici, con l’indimenticabile e applauditissima arringa in cui l’onorevole Maurizio Paniz tuonava: “Berlusconi era convinto che fosse nipote di Mubarak!”. Ora che nel cuore dell’Italia familista la maternità estingue il peccato, tutte queste favole andranno perdute, come lacrime nella pioggia, nel giorno in cui Mubarak divenne bisnonno.

Il Fatto Quotidiano, 21 dicembre 2011

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