Premessa: può sembrare che parli per fatto personale. Forse perché sono diventato giornalista professionista in un quotidiano che ne usufruiva. Forse perché grazie a quei fondi venni assunto con un regolare contratto giornalistico a tempo indeterminato, e forse anche perché conosco decine di validissimi colleghi, più bravi di me, che andrebbero in mezzo a una strada se venissero abrogati.

La premessa era doverosa nel rispetto del patto di sincerità coi lettori, ma la mia opinione è la stessa da anni, prima e dopo le circostanze che ho illustrato: io sono favorevole ai contributi pubblici per l’editoria. Senza se e senza ma. E a chi mi snocciola esempi di sprechi, inefficienze e clientele dei ‘quotidiani fantasma’ ingrassati sulle spalle dei contribuenti solo per distrarre fondi pubblici a fini privati o assumere figli e parenti e amici e amiche dei potenti di turno, senza vendere uno straccio di copia, io rispondo che non si combatte uno scandalo di partite truccate abrogando il campionato di calcio. Si inquisiscono i responsabili delle singole malefatte. E si consente a tutte le squadre oneste di poter almeno scendere in campo per provare a vincere. Senza rimanere schiacciati dai guasti di un mercato che consente – lo ha scritto benissimo il direttore dell’Unità Claudio Sardo nel suo editoriale – che le televisioni si mangino quasi per intero la torta pubblicitaria. Lasciando alla carta stampata, e in particolare alla stampa locale, quella più ‘scomoda’, soltanto le briciole.

Nel settore dell’informazione non sono in vigore le regole del libero mercato. Esistono posizioni dominanti, monopoli camuffati e tollerati, grandi gruppi imprenditoriali che agiscono in più campi e che possiedono, anche, testate in perenne perdita, il cui unico scopo è quello di difendere gli interessi dell’editore i cui veri guadagni, però, sono altrove. I fondi pubblici per l’editoria cooperativa e di partito – e qui cito il mio collega de Il Fatto Quotidiano Eduardo Di Blasi – servono a difendere la voce di chi non troverà mai spazio sui media governati dai grandi interessi. In nome del pluralismo.

Davvero credete che giornali dichiaratamente ‘comunisti’ come Il Manifesto o Liberazione potrebbero vivere senza i contributi governativi, estromessi in partenza e per principio dal circuito delle grandi commesse pubblicitarie? La legge sui finanziamenti alla stampa è logora, ha evidenti carenze e ha consentito troppe ‘furbate’: ma va corretta, non cancellata. Voi che ne pensate?

Il Fatto Personale

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