Una volta si spaziava  tra la Via Emilia e il West. Adesso tra la Via Emilia e il Niet. Da orizzonti di gloria alla prospettiva bulgara. Oggi sono vent’anni che è morto Pier Vittorio Tondelli, il 16 dicembre 1991.  E il suo ricordo, nella terra dove è nato e che ha reso famosa in Europa, è affidato al nulla, al Niet. Almeno dai palazzi del potere, nelle «sedi istituzionali» arraffone e ignoranti. Poi fra le persone che pensano, lavorano, sopportano continuano a circolare i libri di quello che Andrea Pomella ha disegnato sul Fatto come «l’ultimo autore italiano compiutamente internazionale». «Lo è stato – ha scritto – non tanto perché il suo nome sia particolarmente noto ed apprezzato all’estero, quanto perché la sua scrittura ne possiede il tono, il respiro, l’ambizione. Dopo di lui è stato tutto un rinserrare di storie che stanno nei ranghi di uno spento provincialismo di maniera. Nessuno che abbia osato volare oltre le vette di quei campanili, nessuno che si sia arrischiato sui terreni battuti dai giganti».

Ritratto perfetto di un ragazzo nato e morto a Correggio di Reggio Emilia, che giocava a basket in parrocchia con un Ligabue suo sconosciuto coinquilino, formatosi nella Bologna del Dams più bello e pericoloso, cantore massimo di «Rimini», generoso formatore di altri scrittori con la casa editrice Transeuropa, iniziative come Under 25, la rivista Panta.

Vichi Tondelli se ne è andato a 36 anni. Ha seminato, tantissimo. Dalla musica al fumetto, al semplice tentativo di raccontare cosa significa essere giovani e crescere. Correggio lo ricorda con una tre giorni dolce che parte oggi, Rimini in estate ha messo in piedi una piccola iniziativa. Tanti, da Milano e Firenze, hanno costruito qualcosa. Cercato un senso fra il passato e il futuro. Banale.

Bologna niente. La Regione nemmeno. Sazie del loro vivere e sopravvivere. Eppure Tondelli avrebbe tanto per far ragionare quella via Emilia che lui ragazzo percorreva in treno da Reggio a Bologna e che ha spalancato oltre la storia da giovane uomo.

Non è questione di rimpianto, di celebrazioni. E’ capacità di capire cosa è stato seminato, a che serve, cosa può produrre, insegnare, provocare adesso. Tondelli, morto di aids, con un addio da cattolico, è Altri libertini e Camere separate, la storia di Leo, scrittore di successo consumato dal dolore per la perdita del compagno Thomas. Una Bologna di assessori e assessorini che non sanno mai che pesci prendere farebbe bene a saperlo. Aiuta leggere e pensare. «È un curioso andamento degli studi umani, – scriveva Giacomo Leopardi in una nota dello Zibaldone – che i geni più sublimi liberi e irregolari, quando hanno acquistato fama stabile e universale, diventino classici, cioè i loro scritti entrino nel numero dei libri elementari, e si mettano in mano ai fanciulli, come i trattati più secchi e regolari delle cognizioni esatte».

Tondelli è la politica come disagio. Dal 1977, l’uccisione di Pierfrancesco Lorusso, alla Pantera degli anni Ottanta. «Perché sono ancora, in questo momento, lo spaurito studente di quindici anni fa che sente la propria separatezza dalle ragioni e dalle lotte degli altri come una condanna inappellabile».

Tondelli è il Dams degli anni più incredibili. Lui, Andrea Pazienza, Roberto Freak Antoni, Beppe Cottafavi, ovvero fumetti, musica, scritture, editoria del futuro, a lezione da Gianni Celati sui Beatles. E lui che presenta a Umberto Eco all’esame di semiotica una tesina sul vino. Splendida, ma becca 29 per «debolezza semiotica» e qualcuno sospetta che il maestro del «Nome della Rosa» avesse qualche invidia per la scrittura del ragazzo che avrebbe poi pubblicato per la «sua» Bompiani. Anni pieni di sogni e di grande scuola, anneriti infine dagli omicidi e dai misteri Fabbri ed Alinovi.

Tondelli è «Biglietti agli amici» pubblicato dalla bolognese Baskerville, è «Un weekend postmoderno» dagli articoli per Il Resto del Carlino (e l’eco tornerà pur diversissimo in un altro scrittore morto giovane, Edmondo Berselli). Film di un mondo che sarebbe potuto essere. «È occorso del tempo per capire, dentro di me, che pur essendo figlio di una più vasta cultura occidentale, pur essendo un inguaribile estimatore di musica pop e rock, pur essendo un consumatore di cinema americano e di letteratura della beat generation, sono anche profondamente emiliano. E, in questo senso, legato alle mie origini in quel modo tutto particolare – generoso, forse – esuberante e ansiosamente malinconico che hanno i personaggi della mia terra» (Un racconto sul vino, 1988).

Tondelli è la rinascita della narrativa in chiave europea dopo gli sconquassi del Gruppo 63, da lui discendono i Cannibali, Ammaniti in testa.

Ce ne è a sufficienza per far ragionare, vent’anni dopo, i tenutari pubblici di cultura, marketing, giovanilismo e fin turismo bolognese e non solo. Rendere la città bella, accogliente, tollerante, normalmente intelligente non è (solo) chiudere la T per le feste, commercianti mediando. E’ pensare alle ricchezze e tramutare i ricordi in occasioni. Le dimenticanze sono non solo ignoranza, quanto occasioni perdute su cui lavorare e costruire. Dai 70 anni di Guccini a quelli perduti di Magnus e Bonvi, da Pazienza che ne avrebbe avuti 55 a Riccardo Bacchelli che sarebbe andato per i 120. Si possono dimenticare (obliterare in tempi di liti su bus, civis, people mover, le comunicazioni sono un problema sotto tutti i punti), ma sapere che cosa si può costruire sull’Eskimo e su Penthotal (Pier Vittorio Tondelli: «Andrea Pazienza è riuscito a rappresentare, in vita, e ora anche in morte, il destino, le astrazioni, la follia, la genialità, la miseria, la disperazione di una generazione che solo sbrigativamente, solo sommariamente chiameremo quella del ’77»), sul «Diavolo al Pontelungo».

Quindi sarebbe bene che qualcuno mettesse nella propria agenda qualche data. Il 5 gennaio prossimo Umberto Eco compie 80 anni, vabbè che è di Alessandria, però insomma. Il 4 marzo 2013 Lucio Dalla ne fa 70 (che non succeda come con Guccini). Il 22 marzo 2014 Ezio Raimondi ne ha 90. C’è tempo, non si sa mai.

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