C’è una mia amica che quando le telefono non ha mai il fiatone. Oddio, qualche volta sì. D’altra parte ha anche lei una vita frenetica, un lavoro, un marito in carriera, un cane anziano che mangia la terra dei vasi e un figlio piccolo. Ecco, appunto, piccolo. Almeno quanto il mio. Eppure viaggiamo su binari diversi. Lo capisco quando mi racconta che la mattina prepara fagotto e frugoletto, salta in macchina, lascia il bambino dalla babysitter Clara e va al lavoro. Torna a prenderlo nel tardo pomeriggio, lavato, “pappato” e “spannolinato”.  Si alterna col marito in questa staffetta,  senza troppi  imprevisti, solo qualche piccolo contrattempo. Mi parla dei nonni, che sono nonni punto e basta, non surrogati di assistenti materne. Loro si godono il nipotino quando e come vogliono, perché viaggiano spesso ora che sono in pensione. Non è lei a dargli le ferie, perché le da alla babysitter, che è dolce, sì, ma soprattutto è professionale. Perché l’infanzia è una cosa seria.

Clara è una tagesmutter, una tata condivisa con altre mamme, che il comune offre in alternativa agli asili. A fornirle l’elenco delle assistenti alla prima infanzia è stato il Centro di protezione materno infantile del suo quartiere, durante una serie di incontri gratuiti rivolti ai neo genitori. La mia amica aveva la possibilità di scegliere, tra il nido, la babysitter a domicilio e quella condivisa e ha scelto Clara, che oltre ad abitarle vicino, cucina biologico, ha due cani che non mangiano la terra e una busta paga con tanto di contributi, ferie retribuite e assenza per malattia. È semplice, lei paga Clara e la cassa di assistenza alle famiglie le rimborsa i contribuiti. Quando è tornata a lavoro, che il bambino aveva solo tre mesi, il suo cuore si è spezzato ma sentiva comunque di avere sulle spalle un paracadute sociale che ne attutiva il distacco.

La ascolto attonita. E mi sento una mamma precaria, nel lavoro e nella vita, sempre in bilico tra pappe, pannolini e contratti aticipi. Sono una mamma col fiatone, che si arrangia tra una nonna, una vicina, la portinaia e la versione taroccata di Mary Poppins (che costa comunque un salasso e non ha qualifiche). Per accedere a un nido comunale non mi resta che votarmi a San Precario. Quando ho presentato domanda, con sei mesi d’anticipo, non avevo un lavoro e sono stata tagliata fuori dalla logica “ammazza famiglie”, per la quale i disoccupati hanno meno punti in graduatoria degli occupati. E se, nel frattempo, la condizione lavorativa cambia, si può ritentare solo l’anno successivo.

Il progetto tagesmutter era partito anche nel Lazio, la mia regione, e prevedeva corsi di formazione per le mamme interessate ad aprire un nido familiare in casa, dimezzando i costi grazie a un contributo regionale di 3 euro l’ora per ogni bambino. Con la nuova legislatura la convenzione non è stata rinnovata e la babysitter è tornata ad essere un lusso per pochi. Ho scelto quindi di lavorare da casa, un’impresa tosta che si riassume nell’immagine di una mamma che con una mano scrive al computer e con l’altra evita che suo figlio si strozzi col cavo dell’alimentatore.

La differenza tra una mamma col fiatone e una senza, sta negli ammortizzatori sociali, nella tutela dei diritti legati alla maternità, nel potenziamento dei consultori, nei centri di protezione materno infantile, nella cassa di assistenza alle famiglie, nei nonni punto e basta e nella mentalità diffusa che una donna incinta è una risorsa. E nel fatto che la mia amica vive in Francia, io no.

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