Dopo il crollo delle ideologie che comunque qualche idea in fila, buona o cattiva che fosse, riuscivano a mantenerla, registro sconsolatamente un diffuso e preoccupante crollo del comune buon senso. Mi riferisco al tenore di molti commenti su temi quali il (presunto) diritto a farla finita con la propria vita (dibattito Flores D’ArcaisTravaglioZagrebelsky) oppure alla legalizzazione della prostituzione – motivata magari da finalità di gettito – presenti su queste pagine.

Mi sembra che le concezioni della libertà individuale stiano diventando sempre più diverse e radicalmente inconciliabili tra loro come si può desumere portando alle estreme conseguenze le conclusioni di un certo modo di ragionare: siamo in presenza di una nuova strisciante ideologia della libertà individuale o del ciclico ritorno di qualche forma di pensiero antico? Faccio qualche esempio.

“Sono il padrone assoluto della mia vita quindi devo essere libero di togliermela quando diventasse insopportabile, non solo da solo, ma anche assistito da altri o in una struttura pubblica a ciò deputata, magari”. Portiamo alle estreme conseguenze questa affermazione che sembra raccogliere consensi in un certo ambito culturale: se sono padrone assoluto della mia vita e del mio corpo, perché non dovrei poterne disporre liberamente vendendone una parte non vitale (es. rene), ma anche vitale (es. cuore)? Dietro fattura, ovviamente! La liceità della prostituzione (vendita del proprio corpo attraverso prestazioni di carattere sessuale) diventa così un argomento minore! Del resto, in altre legislazioni, è ammesso l’affitto dell’utero per gravidanze surrogate tanto di moda nello star system.

Il principio è sempre lo stesso: non ci sono valori assoluti da rispettare, se non ledo altrui diritti e non reco danni a terzi, lo Stato non può impormi nessun tipo di comportamento. Affermare però che non esistano valori assoluti è un’affermazione assoluta essa stessa che smentisce, sul piano della logica e del principio di non contraddizione, chi la pronunci convintamente.

Ma possiamo proseguire con altri esempi. Un mio socio d’affari è egiziano e ha quattro mogli: non ho motivi per ritenere che, alla base di questo rapporto poligamico, non ci sia stato un consenso libero e consapevole, magari di stile tradizionale. Si dirà che stiamo parlando di differenti culture, ma altro italianissimo mio conoscente vive e lavora in Africa felicemente sposato con due mogli: perché non dovremmo riconoscere tale scelta in Italia, se libera? Perché c’è qualcuno che si attribuisce il diritto di stabilire quando una concezione di libertà, svincolata da norme assolute, diventi legittimamente… relativistica? Ma non è forse questo un modo di ragionare da Chiesa e da bigotteria uguale e contraria?

Si fa tanto per limitare il fumo per i suoi danni sulla salute e per i relativi costi sociali e si propone con sempre maggiore insistenza di legalizzare il fumo per antonomasia, quello della marijuana, con la scusa di contrastare i profitti criminali? Ma qualcuno crede seriamente che, tolta un’area di business, chi ha tendenze criminali si cercherebbe un lavoro onesto?

Abbiamo le città invase da comunità cinesi che, in fatto di alimentazione, hanno tradizioni diverse dalle nostre: come si potrebbe, in base alla citata concezione di libertà individuale negare l’apertura di una macelleria canina, dopo che consentiamo il consumo di conigli, rane, lumache, ecc.? Non vale più il principio liberale: mentre un divieto limita la libertà, la libertà (di poter fare una determinata scelta) non costringe nessuno a farla. Liberalismo doc, sembrerebbe…

Concludo. Forse posso sbagliarmi, ma ho l’impressione che una certa concezione di libertà da suicidio assistito nasca più in certi contesti culturali, come frutto di un processo mentale che sente quasi il bisogno di abbattere progressive barriere per autoaffermarsi. Per la gente comune, la cui cultura derivi più che dalle letture, dalla vita vissuta, è il buon senso, non i sillogismi a farsi norma non scritta. Del resto, un individuo dalle capacità straordinarie come l’essere umano rivelerebbe un incredibile “difetto di fabbricazione” se a muoverlo, proprio nelle scelte più cruciali della vita, non fosse una risorsa interna disponibile a tutti, ma fosse quasi eterodiretto da una biblioteca di cervellotiche letture.

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