Sita al 1120 di Westchester Place a Los Angeles, l’affascinante villa vittoriana che ha contribuito alla fortuna di American Horror Story è adesso sul mercato al prezzo – pare – non esorbitante di quattro milioni e mezzo di dollari. A metterla in vendita due giorni fa l’agente immobiliare Joe Banajian con tempismo azzeccatissimo prima che l’interesse sullo show Fox scemi con la messa in onda, negli States, dell’ultima puntata. Dopo il pilot, la troupe si è trasferita a girare gli alti episodi in uno studio dove sono stati realizzati dei perfetti set-copia, lasciando tuttavia all’augusta magione disegnata da Alfred Faist Rosenheim un surplus di fama cui qualche acquirente ricco e strano non riuscirà a resistere. Al costo controllato può comunque seguire il non indifferente rischio di rimare impantanati un bel po’ tra i suoi tre piani, i vetri Tiffany e le visite di strambe vicine.

Ottima l’intuizione dei due creatori Ryan Murphy e Brad Falchuk di rinverdire il filone delle haunted house con un prodotto bello costoso, un po’ fiacco l’avvio e meglio il primo sviluppo di un giro di vite basato su intrecci di famiglie sfasciate o sul punto di sfasciarsi; American Horror Story sfodera una scorrettezza moderata che fa molto televisione libera e anticonformista, consegnando in realtà allo spettatore un gioco meno originale e innovativo di quanto voglia far credere o si legga in giro. Nessuno dubitava della bravura di una Jessica Lange che si vorrebbe vedere più spesso sullo schermo. Né che la serialità americana fosse un campo più fertile di novità rispetto al cinema, ma ad alcune buone trovate – visivamente riuscitissimo l’uomo (in latex) nero dagli arzilli appetiti sessuali – corrisponde la riproposizione spesso sterile di un immaginario usurato. Papà psichiatra che vede nella vecchia e orba governante una camerierina degna di youporn, madre in attesa di una gravidanza sospetta e figlia introversa in odore di passioni emo, gli Harmon vivono giornate piene di strani e, a volte, buffi incontri, meccanicamente, con qualche guizzo qua e là. Almeno per quanto abbiamo visto finora in Italia.

Sullo stesso tema delle case apparentemente abbandonate, ma all’uopo pullulanti di accesi carnevali di anime, meglio recuperare due classici di Antonio Margheriti, quel Corman del Tevere cui anche sua maestà Stanley Kubrick chiese qualche consiglio tecnico. Il seminale gotico Danza macabra o, ancora meglio, Contronatura sono ancora lì a dirci che per costruire un buon horror meglio dei soldi possono le idee.

Articolo Precedente

L’Italia Nova, atto IV:
“Il discorso di Monti”

next
Articolo Successivo

Archeologia informatica e arte postale
in mostra a Cosenza

next