Nella varietà sempre crescente di lingue ufficiali, regionali e locali dell’Unione europea che con l’adesione della Croazia nel 2012aggiungerà anche il croato al suo vocabolario, viene da chiedersi che senso abbiano più gli status di lingua minoritaria riconosciuti a certe lingue in molti nostri paesi. In altre parole, ha senso oggi proteggere la lingua degli sloveni d’Italia o degli italiani di Croazia, degli ungheresi di Romania o dei polacchi di Lituania? E che senso ha proteggere minoranze che talvolta sono inferiori di numero alle nuove minoranze portate dall’immigrazione?

Oggi ci sono probabilmente più arabofoni che locutori di sloveno in Italia. Dobbiamo proteggere anche loro? A quale soglia una lingua diventa degna di protezione? Chiaramente, la definizione di minoranza nazionale non sta più in piedi ed è necessario un ripensamento di tutto l’approccio linguistico dei nostri paesi. Parole che faranno rizzare i capelli in testa ai paladini della diversità culturale. Ma siamo sicuri che la tutela delle minoranze sia davvero una tutela della diversità culturale e non invece il suo azzoppamento?

Il panorama delle lingue protette in Europa sembra sempre più un giardino zoologico delle culture dove ognuna vive nella sua gabbia ma sarebbe incapace di vivere all’aria aperta. Forse non è per nulla che la parola minoranza va tanto vicino a quella di minorato. Alla fine dei conti, proteggendole le si considera lingue deboli, votate alla scomparsa. Perché invece non capovolgere completamente la prospettiva e lasciare ogni lingua al suo destino? Quelle che avranno qualcosa da dire non solo sopravviveranno ma troveranno nuove vie di prosperità. Delle altre non ci mancherà nulla e nulla andrà di loro perduto nella memoria delle biblioteche.

Questo nuovo darwinismo linguistico dovrebbe però essere accompagnato anche da una completa autonomia nel campo dell’insegnamento linguistico. In altre parole, gli sloveni di Trieste dovranno essere liberi di istituire scuole dove lo sloveno sia lingua di insegnamento. Se saranno migliori di quelle italiane, anche gli italofoni vi iscriveranno i loro figli. Esattamente come succede a Bruxelles, dove gli istituti scolastici neerlandofoni puntano sulla qualità per attirare scolari francofoni. Anche la nostra lingua troverebbe così nuove e autentiche vie di diffusione, se lo vorremo, con l’apertura di scuole italiane nei paesi dove vivono le nostre minoranze ma anche altrove. Questo sì che sarebbe un sistema per promuovere la diversità e la vitalità culturale abbandonando per sempre il brutto e sorpassato concetto di minoranza.

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