“Gocciolavo sesso. Per gli etologi, il sesso è la quarta necessità, dopo il cibo, i vestiti e un rifugio”. Ed è un rifugio davvero invalicabile, quello di Daniele Luttazzi. L’uomo che entra ed esce con velocità brutale e volontà quasi mai sua, dai prosceni mediatici. Il suo ultimo libro, La quarta necessità, è una graphic novel. Testo suo, disegni di Massimo Giacon. Edizioni Rizzoli Lizard, nata nel 1993 per desiderio di Hugo Pratt. Romanzo di formazione sui generis, narra la trasformazione di un bambino in mostro. Walter Farolfi attraversa la sua esistenza prima calamitando, e poi esibendo, corruzione spirituale. Uccide a bastonate il cane della vicina, spezza cuori, fa leva sull’italica furbizia.

E “al suo funerale ci andarono tutti”. È un libro riuscito, con la prima parte superiore alla seconda, ma ha tutto un’aria desolatamente dimessa: nella storia, nel disegno, nella veste grafica (con la sceneggiatura pubblicata in calce, tipo bonus track). Nessuno o quasi ne ha parlato, rispettando evidentemente la consegna del silenzio bipartisan.

Prima del caso-plagio stava antipatico a quasi tutti i giornali, ora è saltato anche il “quasi”. Luttazzi ha chiuso pure il blog, dirottandosi su Twitter. Dove scrive pochissimo. Sul portale Goldworld, nell’unica intervista concessa – o ricevuta? – di recente, spiega la scintilla: “Un anno e mezzo fa mi stavo interrogando sul carattere italiano, che tanta parte ha nel generare i guai del Paese, storici e attuali. È ovvio che il berlusconismo ne è solo il risultato. E così mi è venuta in mente la storia di Farolfi, un italiano medio che nasce innocente, attraversa una serie di circostanze, e diventa un mostro sociale”.

La quarta necessità conferma gran parte del talento, spigoloso e considerevole, di Luttazzi. L’autore si diverte a cambiare registro, dal surreale all’urticante. Non manca il cinismo sui funerali, antico marchio di fabbrica. La digressione sugli “anelli specifici”, che le donne dovrebbero indossare per far capire meglio cosa manca loro sessualmente, è straordinaria. Gli eterni accusatori del “Luttazzi volgare” troveranno coiti espliciti, rapporti anali – altro tormentone – e bestemmie. Di politica assai poco, se non la digressione sullo scandalo Casati (e un “cameo” dei brigatisti Fenzi e Moretti).

Farolfi è causa indiretta degli omicidi che sconvolgeranno Villa San Martino ad Arcore, poi finita nelle mani di Berlusconi. Ma per l’ex premier e Previti c’è solo un accenno: “Comunque c… loro”. Una sottolineatura del voler parlare di berlusconismo, non di Berlusconi. Deve essere un paese ben strano, l’Italia, se uno dei pochi geniacci reali si ritrova in esilio. Un po’ cercato e molto imposto.

Luttazzi non è esente da colpe. Sulla vicenda plagio – lui che per anni ha accusato gli altri di saccheggiarlo – è faticosamente difendibile. Per quanto resti irremovibile nel citare Terenzio, semiotica e “ruoli attanziali”, respingendo piccosamente qualsiasi colpa, non ha convinto granché. La sua fuga dalla “iena” Elena Di Cioccio, in bicicletta a Fregene, è stato uno dei momenti più malinconici degli ultimi anni.

Non basta parlare di “caccia al tesoro”, o sostituire “mosca” a “falena”, per attutire la delusione di quegli estimatori che Luttazzi ha contribuito a far crescere. Daniele ha insegnato loro a essere esigenti e ora, spietatamente, ne sconta le conseguenze. Ricucire lo strappo non sarà facile, anche perché Luttazzi continua a dare la sensazione di arrampicarsi, per quanto dottamente, sugli specchi.

Al tempo stesso, c’era un esercito trasversale ad aspettarlo livorosamente al varco. Luttazzi è un satirico senza filtri, lucido e coraggioso, preparato e maestrino, incline a chiamare “paraculo” i dirimpettai (da Fiorello a Fazio, da Gnocchi a Bonolis). Non appena è inciampato, lo hanno massacrato. E non è una coincidenza se l’affaire-plagio, magari per mano di un collega rancoroso, sia esploso a metà 2010: proprio quando Luttazzi, dopo il memorabile monologo a Raiperunanotte, aveva rimesso la testa fuori dall’acqua.

Comico, satirico, drammaturgo, musicista, disegnatore, intellettuale, saggista. Eclettico di rara cultura e piacevolezza (privata). L’assenza di Daniele Luttazzi, in un momento afasico come questo, si sente e fa male. La quarta necessità sembra l’opera deliberatamente “minore” dopo un successo fragoroso o un fiasco stordente. Un ricercare se stessi al buio. Forse, anche se non lo ammetterà mai, è un ribadire la propria esistenza. O addirittura un chiedere aiuto, benché cripticamente.

Luttazzi non ha sin qui accettato gli inviti a Servizio Pubblico: sbaglia, perché nessuno come lui ne avrebbe bisogno e nessuno come lui impreziosirebbe il programma. Si regali l’unico gesto realmente auspicabile: faccia pace con se stesso. Esca dal guscio. E torni a divertirsi e divertire.

Il Fatto Quotidiano, 11 dicembre 2011

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