Di recente mi sono lamentata perché non ci sono molte notizie estere sui giornali. O almeno non quelle che secondo me dovrebbero finire sui giornali. Quelle che raccontano i paesi e le persone. Le storie che possono dare indizi su quello che accade nel mondo. Non perché mi illuda che possano fare la differenza, ma perché ho sempre pensato che creare cultura, avere curiosità per le cose che ci circondano, ficcare il naso dove non sempre si deve, facesse parte del nostro lavoro.

La risposta di un collega è stata: “Gli esteri non fanno notizia, non fanno vendere i giornali, magari proponi qualcos’altro”. E’ vero gli esteri non fanno notizia, ma possono far riflettere le persone sul posto dove vivono. Vero, le notizie estere non fanno vendere i giornali, ma li hanno sempre fatti leggere.

Oggi le donne italiane sono scese in piazza. Il lavoro è ancora tanto. A volte mi sembra incredibile che siamo sempre un passo indietro, un passo che ha lo spessore di un baratro. E non è solo qui, ogni paese ha le sue battaglie a seconda del tipo di posto che è, la sua evoluzione, il suo progresso.

Penso all’Afghanistan e non riesco a dimenticare la storia di Gulnaz, una ragazzina di 21 anni. Gulnaz è in prigione, le hanno dato 12 anni per adulterio. Due anni fa il cugino del marito l’ha violentata, l’ha messa incinta, e ora lei sconta la pena del suo stupro. Il marito ha divorziato e a lei si presenta un buono uscita: se sposerà il suo violentatore, avrà un bello sconto di pena, l’onore della famiglia verrà ripristinato e il quartiere tornerà a dormire sonni tranquilli.

Poco si è raccontato di questa ragazzina, e delle centinaia che vivono così in Afghanistan, poco si racconta che le donne afgane sono più libere in prigione che fuori perché almeno dentro nessuno le picchia. Quante battaglie dovranno ancora fare quelle ragazze per avere il loro posto nel mondo? Ma se non lo si racconta, se non si dedica qualche riga alla loro sofferenza, se non lo sappiamo, non ci macchiamo noi del reato di indifferenza colposa?

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