Fuori dalla Questura di Napoli, quando compare ammanettato il boss dei casalesi Michele Zagaria, i poliziotti gridano: “Vittorio, Vittorio… Pisani, Pisani”. E’ il tributo a Vittorio Pisani, ex capo della Squadra mobile di Napoli sulla cui testa pende una richiesta di rinvio a giudizio per aver favorito la camorra rivelando segreti investigativi. Accusa respinta dal funzionario, che ha solo ammesso rapporti con confidenti legati alla camorra. Il “tifo” della truppa si accompagna al riconoscimento del capo della Polizia Antonio Manganelli che, intervistato da SkyTg24, che ha definito Pisani, investigatore di grande fama, “l’artefice della cattura di Zagaria”.

Era nel suo feudo Michele Zagaria. A Casapesenna nel casertano. Il capo indiscusso del clan dei Casalesi è rimasto nel suo territorio per controllarlo in questi 16 anni di latitanza. Era in un nascondiglio quando è stato braccato. In 300 uomini hanno circondato l’area, agenti della squadra mobile di Caserta, di quella di Napoli e dello Sco, il servizio centrale di protezione. Ha partecipato anche Pisani, trasferito a Roma dopo l’avvio dell’indagine a suo carico. Incredulità, ma anche la speranza che fosse la volta buona nelle parole degli investigatori che da anni danno la caccia a Capastorta, al secolo Michele Zagaria.

La notizia inizia a circolare alle prime ore della mattinata, ma con mille distinguo: ” Stiamo verificando se è lui, andiamo a vedere di persona” dice al telefono un magistrato della dda di Napoli che da due decenni combatte la mafia casertana, poi arriva la conferma a metà mattina. L’operazione iniziata verso le 2 di notte si è protratta per 9 ore. Questa volta Zagaria ha finito la sua corsa.

Troppe volte, in questi anni, gli investigatori erano arrivati a un passo dalla cattura, inspiegabilmente svanita. Sono saltate le reti di protezione che gli hanno consentito la latitanza, dopo gli arresti dei fratelli, di insospettabili che gli garantivano protezione e luoghi sicuri dove nascondersi. Questa volta nessuno ne ha impedito la cattura. Poche settimane fa, Federico Cafiero De Raho, coordinatore dell’antimafia napoletana chiariva a ilfattoquotidiano.it: ” Già in alcune occasioni è riuscito a sfuggire poco prima che giungessimo nel rifugio in cui si nascondeva. Questo certamente fa pensare in modo sempre più fondato che riesca a circondarsi di persone che arrivino ad attingere alle notizie riservate che consentono lo sviluppo proficuo dell’indagine”.

Notizie riservate che questa volta non hanno salvato Capastorta. I tentativi di cattura andati a vuoto sono stati diversi. L’ultima volta a metà novembre, la mobile di Caserta aveva individuato un rifugio sotterraneo dove si nascondevano i latitanti del clan, di Zagaria nessuna traccia. Altra operazione a maggio quando gli agenti bonificarono intere aree del territorio eliminando telecamere a circuito chiuso, cancelli abusivi e paletti. “Dobbiamo fargli il vuoto intorno” ripetevano gli investigatori. Anche ad aprile perquisizioni e scavi alla ricerca di Zagaria, setacciate diverse abitazioni, fu trovato un nascondiglio, ma i magistrati della Dda, arrivati sul posto, fecero i conti con un covo vuoto. Lui capastorta restava imprendibile. Così come nel novembre 2010 quando ad Aversa per ore con escavatori e martelli pneumatici, vigili del fuoco ed agenti cercarono il nascondiglio segreto del boss, rimediando solo una richiesta di danni da parte dell’imprenditore titolare dell’area. Un anno dopo Zagaria si è dovuto arrendere, ora c’è da scoprire la rete di protezione che gli ha garantito 16 anni di latitanza.

Aggiornato dalla redazione web alle 18,25

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